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Verification Handbook, rallentare per non cadere nelle bufale online

Bologna, 1 ago. – Capita, a volte, di vedere sul sito online di alcune importanti testate giornalistiche una notizia di cronaca non del tutto vera. Capita, altre volte, che la fotografia che accompagna l’articolo su un terremoto risalga in realtà ad un’altra tragedia avvenuta in passato in un altro luogo del mondo. Capita anche che il titolo di un’importante testata citi “voci di un attacco terroristico”, senza nessuna verifica…
Capita ma non dovrebbe capitare.

Per questo è nato il Verification Handbook, il “manuale di verifica” dei contenuti digitali. Un progetto a cura di Craig Silverman e pubblicato dallo European Journalism Centre. E’ stato pensato come strumento per i giornalisti, soprattutto nelle situazioni di emergenza in cui raccontare quanto succede è più difficile e il ritmo richiesto più veloce. Ma può aiutare chiunque utilizzi internet come mezzo di informazione ad aguzzare il senso critico e non cadere nell’errore banale di condividere bufale in rete.
Il Verification Handbook in particolare ci aiuta, con casi studio e utilissimi tools, ad esaminare i cosiddetti “user generated content“, contenuti prodotti dagli utenti nel web, soprattutto attraverso i social network. Si tratta di video, foto, tweet ecc…

“Questa edizione è particolarmente importante perché si inserisce in un contesto giornalistico, quello italiano, in cui la cultura della verifica dei contenuti digitali prodotti dagli utenti è ancora poco diffusa e le sue tecniche e applicazioni sono ancora poco note all’interno delle principali redazioni online”, ha scritto l’European Journalism Centre all’uscita della versione italiana, tradotta e curata da Andrea Coccia, giornalista collaboratore de Linkiesta e cofondatore di Slow News.
“Siamo abbastanza indietro. Questo è un libro che è ancora fantascienza in Italia” conferma lo stesso Coccia a Radio Città del Capo. “All’estero queste cose le sanno” dice amaro il giornalista, “poi si possono fare errori, ma ci si pone la domanda. Partono dal presupposto che ciò che viene pubblicato, prima di essere verificato, è falso. In Italia spesso è l’opposto”.
Insomma prima di pubblicare (o condividere contenuti di altri) ci si chiede se sono veri. E questo vale per la notizia più seria e più tragica, così come per quella più leggera, dagli attentati ai gattini.
Un esempio recente è quello della sparatoria di Monaco, spiega Coccia, quando alcuni giornali italiani hanno pubblicato online immagini che si riferivano ad un’esercitazione antiterrorismo inglese. “In questi contesti di antiterrorismo bisogna stare attenti a quello che si dice e pubblicare immagini che non c’entrano nulla è molto grave”.

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