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Sgomberi. Chi è Kinsley, il ragazzo che a Bologna ha minacciato di impiccarsi

Kinsley sul balcone di villa Adelante

Bologna, 18 giu. – E’ rimasto per ore appeso all’esterno del balcone di villa Adelante, il villino Liberty occupato nell’ottobre 2014 dagli attivisti del sindacato Adl Cobas. Un piede sul cornicione, l’altro penzoloni e insanguinato per aver toccato la vetrata rotta sottostante. Al collo un cavo elettrico usato a mo’ di cappio. Ha tentato di resistere così allo sgombero Kinsley, 24 enne nigeriano arrivato anni fa in Italia attraversando il Mediterraneo. Dalle 11 alle 17 è rimasto in bilico sul balcone. Poi, esausto, ha rinunciato a difendere quella che ormai considerava casa sua e ha abbandonato l’edificio. Assieme a lui Alessandro, attivista del sindacato Adl Cobas che aveva deciso di seguirlo nella protesta sul balcone.

La storia di Kinsley comincia nel 2011, quando come tanti altri sbarca nel sud Italia dopo una traversata pericolosa e potenzialmente mortale. E’ il periodo della guerra in Libia e dei barconi di disperati che attraversano in massa il Mediterraneo, un po’ per colpa dei bombardamenti Nato, un po’ perché le truppe di Gheddafi usano gli africani residenti in Libia come “arma” alternativa per fare pressioni sull’Europa. Kinsley, all’epoca poco più che maggiorenne, viaggia su una carretta del mare e e una volta sbarcato viene spedito in bus a Bologna. Ha la sfortuna di finire nel maxi centro accoglienza dei Prati di Caprara. Gestito dalla Croce Rossa, il centro da subito sconta tutti i difetti dell’intervento umanitario d’emergenza che si trasforma, proroga dopo proroga, in un’accoglienza lunga 2 anni. Dal 2011 al 2013 Kinsley dorme assieme a circa 120 connazionali nel centro, tra finestre rotte, docce che spesso non funzionano e acqua calda che anche in inverno non basta per tutti gli ospiti. Quando parlano dei Prati di Caprara i migranti usano la parola slum, termine inglese che si può tradurre con baraccopoli. Vitto e alloggio e qualche vestito non mancano mai, quello che non c’è sono i corsi intensivi di italiano e le attività di sostegno. Col risultato che in quasi due anni vengono spesi 2 milioni, ma solo 62 mila euro vanno alle attività di supporto ai migranti, quelle che dovrebbero integrarli nel tessuto sociale bolognese.

Prati di Caprara, 6 novembre 2012

Quando l’accoglienza per la cosiddetta “emergenza Nord Africa” finisce davvero, a Kinsley e ai suoi compagni vengono dati mille euro. Tutti si ritrovano da un giorno all’altro in strada e con poche prospettive. C’è chi tenta di andare all’estero, chi nelle grandi città italiane: Milano, Roma, Torino. A molti le cose vanno male, i soldi finiscono in fretta per chi non ha né casa né lavoro. Ed è tanto più difficile trovare un’occupazione quando l’italiano si parla poco e male. Due anni in Italia non bastano se si passa tutta la giornata tra connazionali in un centro di accoglienza alla periferia di Bologna. E infatti, ai Prati di Caprara, la lingua straniera è l’italiano, non certo l’inglese. Kinsley con i mille euro prende una stanza in affitto da amici e tenta anche di trovare un lavoro. “Lo abbiamo aiutato quando abbiamo potuto e lui ha sempre cercato di lavorare”, dice Neva Cocchi di Ya Basta, l’associazione vicina al centro sociale Tpo e al sindacato Adl Cobas che ha assistito i profughi dei Prati di Caprara. E in effetti, con il permesso di soggiorno in regola, qualche lavoretto ogni tanto per Kinsley è spuntato fuori. Mai abbastanza soldi però per permettergli di prendere in affitto una stanza e pagare regolarmente l’affitto. A ottobre 2014 arriva l’occupazione di villa Adelante assieme a Adl Cobas. Oggi lo sgombero. Quattro anni dopo essere arrivato in Italia con tante speranze attraversando il mare, Kinsley si è ritrovato con un cappio al collo, pronto a lanciarsi dal balcone. Ora dovrà ricominciare tutto da capo.

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