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Sfigurata con l’acido dal marito, oggi Filomena inizia “Un’altra vita”

Bologna, 28 sett. – Filomena indossa occhiali scuri, lo fa per proteggersi da quella luce che non poteva più spegnere chiudendo semplicemente gli occhi. Non poteva, perché Filomena le sopracciglia non le aveva più. Era una notte di primavera quando il suo compagno di una vita, all’epoca ancora suo marito, si avvicinò al letto, le batté un colpo sulla spalla per svegliarla e dirle “Vir’ che te ‘rongh”, guarda cosa ti do. E le rovesciò addosso una bottiglia di acido solforico che le divorò il volto e la sfigurò per sempre. “Da lì è iniziato il mio calvario – ricorda – e dura da sei anni”. Dopo quella notte Filomena Lamberti si è dovuta sottoporre a 25 interventi chirurgici di ricostruzione (non ancora finiti) per poter ricominciare Un’altra vita, come dichiara anche il titolo del suo libro. Proprio in questi giorni lo sta presentando nelle scuole di Bologna all’interno del progetto ‘La violenza non fa mai centro’, promosso da Fortitudo Pallacanestro, che l’ha voluta come madrina della Supercoppa Old Wild West il 28 e 29 settembre.

Filomena sta incontrando gli studenti non solo per raccontare questo tragico epilogo ma anche per spiegare “quali possano essere i primi cenni di violenza e come comportarsi” quando si presentano. “Avevo 16 anni quando ho conosciuto il mio ex e i primi segnali sono arrivati già nel periodo del fidanzamento. Non mi rendevo conto che la sua non era gelosia; quando mi diceva di non frequentare un’amica o non indossare un certo abito non capivo che stavo soffocando la mia femminilità. Pensavo ‘mi ama’, mentre quello era già possesso”. Poi “passano i mesi, gli anni, arriva al matrimonio e tu diventi sempre più piccola, mentre cresce il suo possesso su di te”. Filomena, come tante altre donne, da quella relazione violenta non poteva uscire perché non aveva un’indipendenza economica e perché era diventata madre e, dice, “quando arrivano i figli pensi a loro”. Lui non ci pensava allo stesso modo, la picchiava anche in loro presenza, e in particolare quando beveva “si scatenava l’inferno”.

Dopo quella notte ha combattuto per un mese tra la vita e la morte in terapia intensiva, mentre fuori dall’ospedale si svolgeva il processo per direttissima dal quale lui è uscito con una condanna per maltrattamento in famiglia e non per tentato omicidio, scontata in 15 mesi di carcere. “La seconda violenza”, la chiama lei, quella della giustizia. Nemmeno questo l’ha fermata, perché appena ha potuto Filomena si è “lanciata tra le persone” e ha chiesto allo Spaziodonna, il centro antiviolenza Salerno, di aiutarla a “testimoniare in favore delle altre donne”. Ricorda ancora la prima telefonata: “Quando chiamai mi rispose Pina Mossuto, responsabile, e mi chiese se ero disponibile a farmi intervistare visto che il giorno successivo una televisione locale sarebbe venuta a Spaziodonna”. Filomena acconsentì e quando si trovò di fronte al cameraman, alla domanda “ha problemi a farsi riprendere?”, non ha potuto che rispondere: “No, anzi, tu mi devi riprendere. Perché se non vedono non capiscono”.

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