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Senza parole…

La radio è necessariamente parola. Bisogna parlare e parlare, però bisogna avere anche qualcosa da dire.
Eppure stamane quando eravamo in onda non riuscivo a elaborare nulla.
La bocca si apriva, certo, quasi in automatico, per le solite parole di circostanza che in realtà non volevano esserlo, ma lo diventavano nel momento in cui un fatto del genere non riuscivo a elaborarlo nè a comprenderlo.

“Il Cev c’è”  non era solo uno slogan ma una sorta di abitudine bolognese, una certezza, come sapere che dopo la notte arriva la mattina e poi il pomeriggio e il tramonto.
Eppure non è così e forse quello che ci lascia straniti è il senso di inganno nello scoprire di essersi sbagliati.
Tutti pensano di conoscere le persone e nulla era più facile che conoscere Maurizio Cevenini. Se poi sei nato nello stesso quartiere, sopra allo stesso bar, era decisamente impossibile non incontrarsi quasi ogni settimana.
Adesso tutti andiamo a interpretare la sfumatura, un’espressione, un’ombra nel viso che doveva suggerirci qualcosa e che invece veniva sostanzialmente archiviata con una battuta. Sicuramente ogni messaggio, la lettera d’addio, ogni indizio lasciato da Cevenini prima del congedo verrà analizzato e decifrato, attribuendo significati e suggerendo ragioni: se non del tutto giuste quasi tutte sbagliate.
L’unica cosa che riesco a capire è che la popolarità non ti protegge dalla solitudine, anzi, può diventare una camicia di forza che ti imprigiona e che ti costringe ad essere come gli altri ti vedono: due chiacchiere, la battuta, una presenza costante in ogni occasione, dalla sagra del pesce all’evento istituzionale, dal compleanno dell’amico al funerale di Stato.
Ma quando stai male evidentemente questo non solo non giova ma diventa un supplizio, una tortura. Devi giocare sempre nel tuo ruolo anche se non ci stai più dentro.
Dunque non c’è alcuna conclusione da trarre se non una:  Maurizio Cevenini detto “il Cev” faceva di tutto per cercare di essere come noi lo vedevamo ma non ci stava più dentro. Forse ha cercato di dircelo, ma nessuno ha capito. O forse l’ha nascosto con tutte le sue forze e così nessuno se ne è accorto.
E non c’è nulla di più terribile che essere impossibilitato a chiedere aiuto in un mondo in cui tutti, almeno apparentemente, sono disposti a dartelo.

Paolo Soglia

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