30 nov. – “La musica ribelle in Italia c’è ancora, è nell’indie, in band come I Ministri, Lo Stato Sociale e in alcuni rapper: la ribellione non è essere sempre e solo contro in maniera strepitante, ma analizzare la realtà, e dove necessario avere il coraggio di cambiarla e soprattutto, trovare una soluzione“: a dirlo è Eugenio Finardi che, proprio quarant’anni fa, pubblicava il suo secondo disco Sugo, aperto proprio da “Musica ribelle”. Una pietra miliare che è stata celebrata venerdì scorso in una serata di Politicamente Scorretto al Teatro di Casalecchio insieme a Carlo Lucarelli: nello stesso pomeriggio il cantautore è stato ospite di Maps e ha ripercorso ai nostri microfoni la sua storia, proprio a partire dagli esordi degli anni ’70, sotto l’ala della Cramps di Gianni Sassi: “Era un grande intellettuale che non capiva nulla di musica, ma aveva intuito l’importanza del momento storico e della musica: creò quindi un’arma musicale da dare al movimento giovanile. Lui metteva becco solo sulle copertine, mentre noi eravamo del tutto liberi: fu la nascita di una via italiana al rock“.
“Quello che manca oggi”, continua Finardi, “è l’idea di una possibile alternativa. Nel mondo c’è un liberismo imperante che sta rendendo infelice tantissima gente e sta scatenando populismi, da Trump, alla Brexit alla Le Pen, per non parlare di quelli di casa nostra. Manca una solida proposta di cambiamento, come invece c’era allora”. Finardi si definisce tuttora un outsider e, con la fine della Cramps – seguente alla morte di Demetrio Stratos degli Area – si è trovato di fronte persone che non capivano: “Perché non fare Sanremo, il disco per Natale, le canzoni d’amore, eccetera. Fu un periodo difficile, al punto che nel 2000 decisi di smettere di fare Finardi: da allora mi sono divertito a fare di tutto, dal blues, la mia grande passione, alla musica contemporanea“. Fino al ritorno nei panni noti con l’ultimo Fibrillante del 2014, “prodotto da indipendente, nello spirito dei primi dischi Cramps”.
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