Bologna, 26 feb. – La conferma è arrivata ieri sera. Non solo l’udienza di sabato 22 febbraio ha allungato per altri 15 giorni la detenzione di Patrik George Zaki. Ad aggravare la situazione c’è la scelta del regime egiziano di spostare lo studente dell’Università di Bologna, arrestato in Egitto per avere criticato sui social la dittatura di Al-Sisi, in un vero e proprio carcere. Senza la possibilità di ricevere visite da familiari e avvocati, e probabilmente anche senza più cure mediche.
La differenza è sostanziale: nel centro di detenzione dove Zaki era trattenuto, una cella nella stazione di polizia di Talkha, il giovane poteva vedere i propri familiari e ricevere, ad esempio, dei libri per studiare e anche del cibo. Ora, imprigionato in un vero carcere egiziano, le cose cambiano. Fino al 5 marzo i familiari non potranno nemmeno vederlo, e anche i suoi i suoi legali non potranno mettere piede nella prigione di Mansoura dove il giovane rimarrà almeno fino a sabato 7 marzo.
“La situazione è peggiorata. In un momento in cui l’attezione sul suo caso sta calando il governo egiziano sta probabilmente approfittando della contingenza per punirlo. Sarà una battaglia lunga”, dice Francesca Santoro di Amnesty International.
Intanto si moltiplicano gli appelli per non fare cadere nel dimenticatoio il caso di Zaki. Un appello arriva anche dal consiglio regionale dell’ordine dei giornalisti dell’Emilia-Romagna affinché il caso dello studente egiziano iscritto al master Gemma in Studi di genere all’università di Bologna incarcerato in Egitto dal 7 febbraio scorso “sia costantemente illuminata dall’informazione fino alla sua liberazione“. Una richiesta condivisa anche dal mondo studentesco.
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