Bologna 19 giu- Ci sono sparatorie e ci sono morti, una discreta quantità di entrambe, nell’ultimo romanzo di Omar Di Monopoli. Come ogni noir che si rispetti, anche in questo suo ultimo Nella perfida terra di Dio, edito da Adelphi, i topos narrativi vengono rispettati. Ma si fa ancora più profondo il legame che Di Monopoli ha intrecciato fin dal suo esordio con tutto un filone narrativo radicato nel sud degli Stati Uniti. Se ne sentono gli echi, che si riferiscano a Pete Dexter o a William Faulkner, ma ben condotti su una cifra stilistica personalissima. Una cifra che porta Di Monopoli ad ambientare le sue storie in una zona circoscritta eppure immaginari posta nel cuore del Salento. Anche ne La perfida terra di Dio tutto si svolge attorno a un paese fittizio chiamato Rocca Bardata, alle porte di Taranto. Un territorio colpito dai fumi dell’Ilva e devastato dall’interramento di rifiuti tossici, gestiti dalla malavita organizzata locale con la connivenza persino di certe suore appartenenti all’ordine del Martirio. In questo scenario fa ritorno Tore della Cucchiara, malavitoso di basso cabotaggio, apparentemente alla ricerca di un riscatto presso i suoi due figli abbandonati al loro destino, in realtà alla cerca di un tesoro. Di Monopoli intreccia tutto, complica giustamente la trama offrendo uno spaccato di non redenzione, cupo sì, ma con una lama affilata di ironia. E immerge il composto nel liquido amniotico di una lingua bastarda, metà italiano metà dialetto, che da altri dialetti pesca. Il prodotto finale è esplosivo.
Ascolta l’intervista a Omar di Monopoli
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