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Migranti. Le Famiglie Accoglienti si organizzano contro il decreto Salvini

Bologna, 28 gen. – Oltre sessanta cittadini riunitisi nel Centro Montanari di Bologna hanno partecipato al seminario “Da clandestini a cittadini”, promosso dall’associazione Famiglie Accoglienti, che riunisce tutti coloro che hanno ospitato o che stanno ospitando un migrante africano a casa propria all’interno del progetto “Vesta”. Cohousing sociale, riconversione di edifici sfitti, formazione culturale e lavorativa: ecco le idee risultate dai vari tavoli di dibattito per evitare gli effetti del decreto sicurezza, che mette a rischio il lavoro fatto finora con i ragazzi ospitati.

“Abbiamo formato questo gruppo perché la soppressione della protezione umanitaria rende difficile continuare i percorsi di lavoro e di studio e la loro interruzione porterebbe all’espulsione – ha detto Fabrizio Tonello, uno dei padri accoglienti – L’unico effetto del decreto sicurezza sarà creare maggiore insicurezza. Le persone non potranno andar via nè restare qui e resteranno in un limbo legale per i prossimi anni. Il ragazzo che Tonello ha accolto si chiama Muss. È arrivato dal Benin, fa teatro, parla perfettamente l’italiano e lavora per la cooperativa che gestisce un centro di accoglienza, e va anche a scuola. È uno dei tanti esempi virtuosi di questi progetti. “Non credo ci siano molti adolescenti italiani attivi quanto lui”.

Fra i presenti anche, Boubacar Dia, conduttore della trasmissione Benvenuti a Bologna, in onda su Radio Città del Capo nel 2017. “Due anni fa circa 70 famiglie bolognesi hanno deciso di accogliere ragazzi neomaggiorenni nelle loro case. Oggi hanno deciso di incontrarsi e conoscersi per approfondire questi temi. Ormai i figli che hanno accolto devono essere rimandati nei loro paesi perché sprovvisti di permessi, quindi si sono costituiti come associazione, Famiglie Accoglienti. Il dialogo fra ospitanti e ospitati serve quindi per trovare idee per poi metterle in gioco e investire”. Boubacar è originario della Guinea, ha vent’anni e vive in Italia da 3. Anche lui è stato ospitato a Bologna da una famiglia. Inizialmente l‘accordo era di 9 mesi, poi il Comune ha prolungato il percorso integrativo fino ai 12 mesi. “Ho concluso il mio progetto, ma sono ancora nella casa perché non sono economicamente autonomo”.

Anche Lamir ha 20 anni e viene dal Gambia. È arrivato in Italia quasi 4 anni fa. “Ho fatto un viaggio dal mio paese fino alla Libia, poi ho preso un gommone e fortunatamente sono arrivato qui in Italia”. Era accompagnato dal suo padre accogliente, Santo: “Io e mia moglie abbiamo deciso di accogliere questo ragazzo. Finora è stata un’esperienza favolosa, Lamir è molto educato e disponibile. Siamo tutti contenti in famiglia, io mia moglie e nostro figlio, che ha la stessa età. Viene fuori un po’ di paura all’inizio, ma se non ci si mette in gioco non si potrà mai capire”.

Un altro gambiano è Sidi, ventenne anche lui “è stato un viaggio difficilissimo, ormai lo sapete anche voi italiani. Con la famiglia è andata non bene, benissimo. Sto davvero benissimo con loro, mi hanno accolto come un figlio, non mi hanno mai trattato come uno straniero, come un diverso. Per loro è come se fossi italiano. Hanno due figli, maschi anche loro, che mi chiamano fratelli. Quasi non mi manca la mia famiglia vera in Gambia, perché sto meglio con loro, giuro. Quando mi hanno detto: “Lo sai che fra un po’ andrai a vivere con una famiglia italiana?”, all’inizio un po’ ero preoccupato, pensavo che potessero avere paura di me. Il suo affidatario, Luca, è fiero di lui: “Ha fatto subito il percorso nei centri delle case famiglia, poi lo abbiamo mandato in una scuola privata. Ora è in sospeso perché la priorità è il lavoro per i permessi. Ha iniziato una pratica sartoriale ed è stato chiamato da un’azienda di alta sartoria. Ha un contratto a tempo determinato, si alza prima di noi alla mattina, va fino a Crevalcore e torna alle sette di sera. Al lavoro gli vogliono bene, è molto bravo”. Per Luca accogliere non è solo un dare, ma anche un avere:”Io e mia moglie abbiamo due figli e abbiamo deciso di farlo anche per loro come esperienza educativa, per far capire loro cosa succede nel mondo”.

Non tutte le storie sono semplici, come quella raccontata da Paola Pollini, che fino all’anno scorso accoglieva Saraba: “Un’esperienza difficile perché il ragazzo era totalmente analfabeta. Parlava solo una linguia africana a tradizione orale, per lui è stata una grande fatica apprendere. Il suo primo giorno di scuola non aveva capito di cosa si trattasse”. In questo periodo si è allontanato per andare a raccogliere i pomodori, che lui non definisce terribile perché è stato in Libia, per cui è abituato al peggio.

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