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Migrantes. Un libro per capire il viaggio dei clandestini

Bologna 9 dic.- Migrantes è un libro di Flaviano Bianchini, giornalista e scrittore. Verrà presentato venerdì 11 dicembre dalle 18 al bar Senza Nome in via Belvedere 11/b a Bologna nell’ambito dei Dialoghi Fuori Porta organizzati dall’associazione Naufragi. Il libro è appena stato pubblicato da BFS edizioni e costa 18 euro.

Biologo, ambientalista, naturalista, Bianchini è da anni impegnato nell’ambito della violazione dei diritti umani e in particolare nello studio dei gravi danni sulla salute e sull’impatto ambientale provocati dalle industrie estrattive nell’America Latina. I suoi studi hanno portato alla modifica della legge mineraria in Honduras, all’adozione di misure precauzionali da parte della Commissione Interamericana dei Diritti Umani in Guatemala e all’approvazione di leggi sul benessere della città di Cerro de Pasco in Perù. Tra il 2007 e il 2009 ha condotto una campagna di sensibilizzazione sull’impatto dell’attività mineraria in America Latina in collaborazione con Amnesty International. Nel 2010 ha ricevuto il premio Chatwin per il suo libro In Tibet, un viaggio clandestino. Questo è il suo secondo libro, ed anche qui la clandestinità è stata una scelta di campo per raccontare il viaggio dei migranti verso gli Stati Uniti. Clandestino, dunque, per essere uno di loro, uno dei migranti che scappano dalla propria terra, dalle proprie radici, infine dalla propria identità per affrontare un viaggio della speranza che li porterà, se andrà tutto bene, ad essere dei sopravvissuti.

“Ho viaggiato come uno di loro”, questa la prima cosa che ascoltiamo dalla voce dell’autore. È un reportage del viaggio che nel 2013 ha intrapreso per oltrepassare il confine tra Messico e Stati Uniti. Gli chiediamo cosa lo ha spinto ad una scelta così coraggiosa, a lavorare così e non in un altro modo, cioè limitandosi ad intervistare i migranti. Ci spiega che l’unico modo che aveva per descrivere e trasmettere quel che si prova nell’affrontare un simile viaggio era viverlo “come uno di loro”. Il viaggio parte dai Paesi dell’America Centrale per attraversare in 21 giorni tutto il Messico verso il confine con gli Stati Uniti. Nell’incipit il passaggio in cui si libera del passaporto, spedendolo in una città di frontiera tra Guatemala e Messico. L’autore racconta della sua falsa identità da “infiltrato“: diventa Aymar Blanco, peruviano di Pucalpa, città della Amazzonia Centrale con antichi insediamenti di comunità basche, i cui tratti fisici più alti e bianchi degli andini, anticamente insediati in quelle zone, sono simili ai suoi e rendono credibile il personaggio.

Si viaggia sulla “Bestia“, o ‘treno della morte’ o anche ‘più grande cimitero a cielo aperto del Messico’, come lo ha definito Padre Solalinde, sacerdote cattolico messicano da anni impegnato per la difesa dei diritti umani dei migranti. Si tratta del treno merci che trasporta materiali dal Centroamerica agli Stati Uniti sul quale viaggiano i “migrantes“, clandestini centro e sudamericani, che cercano di superare la frontiera sul tetto del convoglio, sdraiati sopra un sylos per due-tre goirni senza poter dormire, con i rami degli alberi che gli corrono addosso. Poi il deserto, la muraglia da oltrepassare tra Messico e Stati Uniti. Si cammina di notte e ci si nasconde durante il giorno. Lungo la strada non si lega più di tanto con le compagne e i compagni di viaggio. Non si stringono amicizie e anzi c’è quasi uno spirito di competizione, se si viene fermati dalla polizia bisogna scappare e badare a se stessi. L’istinto di sopravvivenza impone di pensare soprattutto a varcare la frontiera vivi. Chi arriva è un “sopravvissuto“, infatti nel viaggio di Bianchini hanno cominciato ad attraversare il deserto in 25 e sono arrivati in 19.

A differenza di quello che succede in Italia (chi arriva a Lampedusa o sulle coste calabresi vuole essere identificato per chiedere asilo) appena passata la frontiera si entra in clandestinità, destinati per l’80%  ad essere sfruttati nelle zone agricole del sud coltivando mais, cotone e soia per un compenso di 11000 dollari l’anno, un quarto del salario medio degli Stati Uniti. Vivendo sulla propria pelle la fatica, la paura, la stanchezza, la sensazione di incertezza e pericolo, Bianchini prova a raccontarci il viaggio in maniera forte e vera, inesorabile. Rimane la sensazione molto amara che per i migrantes, comunque vada a finire il viaggio, il prezzo da pagare sia troppo alto.

di Luca Benetti

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