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L’Alma Mater contro il mercato nero dei fossili di dinosauro

Foto flickr Nina Haghighi CC BY-ND 2.0

Bologna, 14 giu. – Un progetto per contrastare il mercato nero dei fossili di dinosauro, in particolare quelli del Deserto del Gobi in Mongolia. Lo realizzerà un gruppo di ricerca internazionale guidato dal ricercatore dell’Università di Bologna Federico Fanti, che ha vinto a questo scopo un importante finanziamento del Comitato Waitt Grants della National Geographic Society.

Il progetto di ricerca – intitolato “Geochemical ‘fingerprinting’ of Gobi Dinosaurs; a novel tool for countering the illegal trade of Asian fossils” – punta a creare un nuovo strumento contro il mercato nero dei fossili asiatici, acquisendo al tempo stesso nuovi dati per gli studi sulla biologia e sull’evoluzione dei dinosauri.

Il finanziamento della National Geographic Society fornirà un supporto essenziale al team di ricercatori, che già negli ultimi anni ha raccolto importanti dati sui fossili del Gobi. La squadra è guidata da Federico Fanti – ricercatore al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Alma Mater e impegnato al Museo Geologico “Giovanni Capellini” del Sistema Museale di Ateneo – ed è composta da Luigi Cantelli (Dip. BiGeA, Università di Bologna), Philip J. Currie e Eva Koppelhus (University of Alberta, Canada), Chinzorig Tsogtbaatar (Hokkaido University, Giappone), e Philip R. Bell (University of New England, Australia), si spingerà nelle più remote regioni del Deserto del Gobi per cercare nuovi fossili e raccogliere dati geologici e paleontologici.

Scoperti nel 1923 dal celebre paleontologo ed esploratore Roy Chapman Andrews, i dinosauri del Deserto del Gobi in Mongolia hanno offerto una delle immagini più complete di come vivessero queste straordinarie creature verso la fine del Mesozoico. Negli ultimi 25 anni, decine di scheletri eccezionalmente conservati sono stati rinvenuti in tutta la Mongolia meridionale, ma attorno a questo incredibile patrimonio è nato al tempo stesso un’enorme rete di commercio illegale: i reperti vengono venduti sul mercato nero internazionale o addirittura nelle case d’aste pubbliche, generando un mercato miliardario. Servono allora nuovi metodi efficaci per determinare con esattezza la provenienza dei reperti, tanto per motivi giuridici che per salvaguardare la ricerca scientifica.

Questo l’obiettivo del gruppo di ricerca a guida Unibo, che realizzerà studiando i reperti e raccogliendo dati arriverà anche a creare uno strumento senza precedenti per studiare la biologia e l’ecologia della fauna del Gobi di 70 milioni di anni fa. Per la prima volta, infatti, l’integrazione dei dati geologici, il riposizionamento su base GPS di centinaia di singoli siti di scavo e la realizzazione di dettagliate carte topografiche, permetterà di svelare la composizione delle diverse faune fossili, stabilire i diversi ecosistemi che le sostenevano, e definire anche le preferenze di habitat per le singole specie.

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