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La ‘ndrangheta all’aeroporto di Bologna?

Bologna, 30 gen. – Che succedeva all’aeroporto Marconi di Bologna tra il 2011 e il 2013? La domanda nasce dalla lettura dell’ordinanza che ha portato ai 117 arresti di “Aemilia“, maxi operazione antimafia che ha colpito costola emiliana della cosca crotonese di Cutro guidata dal boss Nicolino Grande Aracri, arrestato nel 2013. Nelle migliaia di pagine scritte dai magistrati di Bologna si parla davvero poco, ma quel poco che si dice lascia un’ombra su almeno un appalto dello scalo bolognese Marconi.

Questa la storia. Nel 2011 la ditta Elle Due costruzioni batte la concorrenza con un’offerta al ribasso e ottiene un importante appalto da 1.8 milioni di euro all’aeroporto di Bologna per la realizzazione di cinque pontili fissi di cui due dotati di fingers. Con l’arrivo di Elle Due, dice l’ordinanza, arriva anche l’imprenditore Giuseppe Giglio, che si “inserisce materialmente nell’esecuzione dei lavori”. Per la Procura di Bologna e la Direzione distrettuale antimafia sarebbe stato Giglio a fornire a Elle Due la manodopera. Potenzialmente, questa la pista inesplorata dell’accusa, si tratta di una replica di quanto stava già succedendo a Modena, dove la ditta Bianchini di San Felice sul Panaro (Mo), storica presenza del territorio con titolari emiliani doc, metteva a libro paga gli operai che le venivano indicati dalla ‘ndrangheta locale. “Questo aspetto è di particolare importanza – scrivono i giudici – perché sarà lo stesso metodo utilizzato da Bolognino Michele (riferimento della cosca su Parma e Reggio, ndr) per insinuarsi nei lavori di ricostruzione post sisma, lucrando sulla manodopera assunta da Bianchini Augusto ma, di fatto, gestita da Bolognino stesso”.

Elle Due, poi cacciata dal Marconi nel giugno 2013 per grave inadempimento, potrebbe aver portato dentro allo scalo degli operai vicini alla ‘ndrangheta, o comunque aver garantito alle cosce cospicui guadagni ai danni dei lavoratori? Se lo sta chiedendo la società Aeroporto Marconi, che non commenta e comunque si dichiara estraneo a eventuali fatti e parte lesa, e ovviamente anche i magistrati. Tant’è vero che la Procura, pur avendo ordinato una perquisizione, è molto prudente nelle dichiarazioni. Quello che si può già raccontare con certezza è quello che succedeva a Modena tra la ditta Bianchini e l’ndranghetista Michele Bolognino.

Il rapporto tra Bolognino e l’imprenditore Augusto Bianchini, titolare dell’omonima impresa attivissima nel modenese durante la ricostruzione post terremoto, inizia nel 2011 e diventa sempre più intenso. Finché è lo stesso Bolognino a indicare a Bianchini le persone da assumere.

Il sodalizio Bianchini-Bolognino funzionava così: Bianchini assumeva formalmente gli operai di Bolognino e per “pagarli” emetteva cedolini falsi, molti con cifre sotto i mille euro per aggirare i controlli sulla tranciabilità. Era Bianchini ad occuparsi di pagare i lavoratori, trattenendo per sé centinaia di euro su ogni operaio. A sua volta Bianchini, grazie alle buste paga e a fatture false, dimostrava spese ingenti e così poteva abbattere l’imponibile Irpef e beneficiare delle agevolazioni fiscali per l’Iva a credito. Mentre nelle realtà il suo esborso era solo uno: la retribuzione degli operai camuffata attraverso le fatture false. Un giro complesso che lasciava in tasca all’imprenditore emiliano le somme dichiarate per gli stipendi, e allo ‘ndranghetista che gestiva i rapporti con gli operai migliaia di euro al mese. Una parte di questa cifra sarebbe poi stata girata alla casa madre di Cutro. Il tutto condito da minacce agli operai, ore e ore di straordinario in nero e lavoro domenicale forzato. Non contento Bolognino si faceva ridare dagli operai la cassa edile (il 24% dello stipendio), i soldi per i buoni pasto e per eventuali visite mediche. Nel periodo di massimo splendore del sistema, quando la Bianchini era lanciata nella ricostruzione post terremoto del 2012, la ditta aveva a libro paga, così lasciano intendere le intercettazioni, almeno 20 operai legati in qualche modo alla ‘ndrangheta o comunque considera “addomesticabili”. Tra di loro “numerosi italiani di origine campana, siciliana e calabrarese, tutti originari del crotonese“. Tra di loro c’è anche Gaetano Belfiore, fidanzato della figlia del boss di Cutro Nicolino Grande Aracri. Belfiore lavorerà con Bianchini fino al 31 ottobre 2012. Anno della caduta il 2012, con le inchieste della Procura di Modena, l’esclusione dell’azienda dalla white list antimafia e lo scandalo amianto. Gli arresti dell’operazione Aemilia hanno chiuso la faccenda. In manette sono finiti sia Bolognino che Bianchini.

Queste le ricostruzioni dell’accusa. E a Bologna? La vicenda è “ancora in fase di accertamento e comprensione”, si è limitato a dire il procuratore capo Roberto Alfonso.

Perquisizioni all’aeroporto di Bologna

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