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La guerra della logistica non finisce alla Granarolo

Bologna, 4 mar. – Il settore della logistica impiega a Bologna più di 7 mila lavoratori, in larghissima parte stranieri. Sono circa 100 le imprese che vi operano e la maggioranza sono cooperative. Molte di queste, però, lo sono solo formalmente: si tratta di “cooperative spurie”, aziende cioè che sfruttano la fiscalità agevolata di cui godono le coop ma che non fanno partecipare i lavoratori. Gli esempi sono tanti: imprese che hanno sedi legali a centinaia di chilometri di distanza da Bologna e che convocano le assemblee ad orari e in luoghi impossibili da raggiungere o che fanno firmare ai lavoratori fogli senza che gli stessi abbiano contezza di ciò che firmano. Molto spesso, come più volte denunciato dal Si Cobas e confermato dalla Filt Cgil, le buste paga sono fitte di errori, quando non di veri e propri illeciti.

L’esempio classico: al lavoratore vengono imputate in busta poche ore di lavoro, a fronte del grosso della retribuzione indicato come “trasferte”. Ciò perché le trasferte non sono tassate: al lavoratore non cambia l’importo ricevuto, cambia però (eccome!) ai fini previdenziali. In particolare, trattandosi di lavoratori stranieri, se alla fine dell’anno risulta che le ore lavorate sono state poche, il rischio di non vedersi rinnovato il permesso di soggiorno è reale.

Inoltre, le cooperative, per via della legge 142 del 2001, “scaricano sui lavoratori la crisi”. La legge consente alle cooperative, previo il voto in assemblea dei soci, di diminuire lo stipendio in caso di crisi. L’utilizzo indiscriminato di questa legge è però molto frequente nel settore della logistica, come denunciato proprio dai facchini del consorzio SGB che si erano visti tagliare la retribuzione del 35% ed avevano iniziato i blocchi la scorsa primavera.

Come fare a contrastare queste imprese?

Secondo il Si Cobas l’unico strumento è la lotta. Forte anche della svolta impressa alla vertenza Granarolo, Aldo Milani, segretario nazionale del sindacato di base, racconta che l’intensificarsi dello scontro ha portato, in alcuni luoghi di lavoro, non solo al rispetto del contratto nazionale, ma anche alla firma di contratti integrativi aziendali.

Le armi in mano al sindacato non bastano invece secondo il segretario della Filt Cgil bolognese Alberto Ballotti. Andare di azienda in azienda (quello che propongono i Si Cobas) non è realizzabile: “E’ come svuotare il mare con un secchiello”. Per risolvere il problema bisogna “costruire un sistema, con anche i committenti, per smettere quel sistema di illegalità diffusa che c’è”.

I sistemi dell coop spurie drogano il mercato della logistica, spinti anche da una tacita accettazione da parte della committenza (aziende private e cooperative) che per decenni ha continuato ad affidare appalti con la logica del massimo ribasso. Tiziano Tassoni, responsabile logistica della lega delle coop, parla di un “mercato fatto male, con regole che si possono eludere facilmente”. E come spesso capita in Italia, a pagare sono le aziende che si comportano “bene”. “Negli ultimi 3 anni – dice Tassoni – abbiamo chiuso 7 aziende che storicamente applicavano il contratto nazionale”. Proprio per questo Legacoop, anche sulla spinta della vertenza dei facchini Granarolo, ha deciso di impegnarsi per contrastare le coop spurie. L’idea è di istituire una sorta di “bollino blu” delle imprese della logistica, spingendo le associazioni di categoria a vigilare maggiormente sui propri associati. “Tutti devono fare la propria parte” dice Tassoni auspicando più controlli da parte delle autorità sul settore. Anche perché, dice ancora Legacoop, nel bolognese meno di un quarto degli addetti della logistica sono impiegati in aziende aderenti all’Alleanza delle cooperative (AGCI, Confcooperative, Legacoop).

Non è solo la logistica il settore in cui proliferano le coop spurie. A Modena, ad esempio, le finte cooperative sono attive nell’agroalimentare. Umberto Franciosi, della Flai Cgil, da tempo denuncia un sistema incentrato sull’abbassamento del costo del lavoro. Le finte coop che fanno “somministrazioni illegali di manodopera”, riescono a vincere appalti per un costo orario di 12 euro a fronte di un costo della manodopera stimato da Federalimentari è di circa 22 euro. Pochi controlli e sanzioni irrisorie sono le condizioni che consentono l’esistenza di questo tipo di aziende. Ci vorrebbero, secondo Franciosi, le stesse norme introdotte per contrastare il lavoro nero nell’edilizia: “Cioè se tu trovi un appalto che non è lecito, tu puoi chiudere l’attività. E vedrai come si contrasta subito questo fenomeno”.

La trasmissione integrale qua sotto.

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