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Kill the Vultures: col prossimo disco torniamo alle drum machine

10 ott. – Scordatevi le musiche suonate con strumenti classici e le linee melodiche di impronta avanguardistica che hanno caratterizzato Carnelian: “Il prossimo disco dei Kill the Vultures avrà meno strumentazioni acustiche”, ha raccontato a Maps venerdì scorso metà del duo hip-hop di Minneapolis, Anatomy. “Mi sono reso conto che mi stavo allontanando troppo dalle drum machine: desideravo tornare a strutture che fluissero naturalmente da quei beat, dai sequencer. Volevo che fosse la pulsazione ritmica a guidare canzoni e melodie, che ci fosse un bilanciamento tra l’ambiente melodico di Carnelian e un ritmo basso-e-batteria dal quale poi prendessero piede gli altri strumenti”. per ora le idee per l’MC Crescent Moon sono meno chiare su quelli che potrebbero essere i testi del nuovo album, dopo la cupezza dei versi del disco precedente: “Per ora tengo tutto in ballo: sono tempi difficili per l’America e sono molto consapevole delle idee e dei temi importanti a livello nazionale e locale. I testi quindi saranno in equilibrio tra personale e sociale, tra quelli che hanno a che fare con la mia comunità e gli argomenti di rilevanza nazionale”.

Dal futuro al passato: nella seconda parte dell’intervista che potete ascoltare qua sotto, insieme alle due tracce che il duo ha suonato dal vivo nei nostri studi, abbiamo indagato sui primi passi dei Kill the Vultures, sul loro approccio con il mondo dell’hip-hop. “Io sono di discendenza mista“, ha raccontato Crescent Moon: una commistione di culture e retaggi che “è emblematica anche di Minneapolis: da una parte c’è la cultura protestante americana bianca, ma dall’altra c’è una scena black dominante, quella da cui viene gente come Prince“. Ma il contatto con rime è beat è arrivato per entrambi in giovane età: “Io avevo un giro di amici che ascoltavano musiche molto diverse: chi l’hip-hop, altri il punk. Io ho cominciato facendo il dj e smanettando coi giradischi”, ha raccontato Anatomy. “Ma in genere se sei in una città degli Stati Uniti ti trovi ad avere a che fare con tanti punti di vista diversi, culturalmente parlando. E molto dipende dalla scuola in cui sei andato”.

Una girandola di stimoli che ha da sempre informato le produzioni della band, lontana da ogni appartenenza e alla ricerca continua di qualcosa di diverso, di lontano da ciò che è già stato fatto: “Da giovani pensavamo molto al nostro pubblico: ora, invece, fare musica è un’esplorazione personale, che non ha in sé alcuna predizione di come verrà accolta: e lavorare in questo senso è molto difficile, ma, alla lunga, ti ricompensa.”

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