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Il podcast di KmZero tra mele ogm e gnammer

Bologna, 17 feb. – Si chiama Arctic® Apple ed è una mela geneticamente modificata che non diventa marrone quando viene tagliata. L’ha messa a punto un’azienda canadese che ha ricevuto nei giorni scorsi il via libera alla commercializzazione negli Stati Uniti. Secondo i desideri dell’azienda, le mele che non si ossidano saranno in vendita negli Stati Uniti dalla fine del 2016, nelle varietà Golden Delicious e Granny Smith. Coldiretti, una delle più importanti associazioni di categoria dei produttori agricoli, è molto preoccupata che dal mercato americano possano poi arrivare in quello italiano. L?Italia “è il primo produttore europeo di mele, con circa 70mila ettari coltivati e oltre 2 milioni di tonnellate di raccolto, con gran parte della produzione che ha avuto il riconoscimento comunitario quali l’indicazione geografica protetta (Igp) e la denominazione di origine protetta (Dop)” scrive Coldiretti.

Stefano Masini, responsabile consumi di Coldiretti, punta il dito contro i trattati di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa (TTIP). A causa della “poca trasparenza con cui sono condotti” la paura dei produttori italiani è che possano essere usati come porta d’accesso delle mele, e di altri prodotti transgenici, in Europa. Recentemente il Governo italiano, sulla scorta del “decidete voi” detto dall’Europa agli stati membri, ha ribadito il proprio ‘no’ alla coltivazione di piante geneticamente modificate nel Belpaese. Un primo passo, dice Masini, che però dovrà essere confermato anche in sede TTIP.

Contraria senza appello all’impiego di ogm in agricoltura è Daniela Conti, biologa, co-autrice del libro “La favola degli Ogm”. Scritto nel corso degli anni con il contributo di Ferdinando Cerbone, ricercatore universitario, il libro reca, come sottotitolo, “Quello che ogni mamma vuole sapere quando acquista ortaggi dal contadino”. Il libro sarà presentato sabato prossimo, 21 febbraio, alla stazione di Pioppe di Salvaro, comune di Grizzana Morandi.

Con Walter Dabbicco, di gnammo.com, siamo andati alla scoperta di una piattaforma che promuove il social food, mettendo in contatto home cooker, cuochi che lavorano in casa, con gli gnammer, persone desiderose di assaggiare la cucina casalinga, sfruttando il lato aggregativo del cibo. Il metodo è semplice: chi vuole cucinare per ospiti sconosciuti, si iscrive alla piattaforma, decide un menù, fissa una data, un luogo (tendenzialmente casa propria) e un prezzo. Gli gnammer interessati, pagano al sito, tramite paypall (“Quindi è tutto tracciato, non si fa del nero con gli home restaurant” dice Dabbicco), il prezzo richiesto. Una volta che si è tenuto il pranzo, il sito ‘gira’ al cuoco o alla cuoca, quanto pagato dai suoi ospiti, da cui viene trattenuto dai gestori del sito il 10% di ogni coperto. Quello degli home restaurant, i ristoranti domestici, è un fenomeno in forte crescita, che ha incontrato non pochi problemi con i ristoratori tradizionali. Un po’ come accaduto a Milano con Uber, la piattaforma peer to peer che ha fatto arrabbiare i tassisti.

Non una semplice isola ecologica, ma un vero e proprio tempio del riusco. E’ Second Life, lo spazio di Borgo Panigale gestito da una rete di cooperative in collaborazione con il Comune di Bologna e Hera e che consente di dare un seconda vita agli oggetti di uso comune. Uno spazio non commerciale in cui oltre 143 mila oggetti sono passati di  mano, da chi li possedeva e non sapeva più cosa farsene, a chi invece ne aveva bisogno. E’ di un successo che racconta Zeno Gobetti, coordinatore del programma Second Life, che in poco più di tre anni si è visto passare decine di migliaia di oggetti, anche di quelli più strani. “A volte facciamo fatica anche noi a definire in che categoria metterli” racconta Gobetti.

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