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Il Fiscal Compact e quei due numeri da rivedere

Bologna, 19 mag. – Il Fiscal Compact è uno degli argomenti ricorrenti della campagna elettorale per le prossime elezioni europee. C’è chi lo vede come un provvedimento necessario per rimettere in sesto i bilaci e portare un po’ di responsabilità tra le fila dei politici spendaccioni, chi lo considera invece una camcia di forza che strangolerà sul nascere un’eventuale ripresa economica.

Quando si parla di Fiscal Compact si intende il Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria (qui il documento completo in pdf).

Cosa prevede il Fiscal Compact? In sostanza e semplificando tre cose:

– l’obbligo di mantenere al massimo al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil (già previsto dal vecchio tratto di Maastricht);

– l’obbligo (ma con più di un margine di flessibilità) di tenere in ordine i conti pubblici attraverso un bilancio “in pareggio o in avanzo” (recepito con la modifica dell’articolo 81 della Costituzione);

– la necessità di un piano di rientro pluriennale per chi ha un rapporto tra debito pubblico e Pil superiore al 60% (in Italia siamo sopra al 130% con un debito che ha passato i 2mila miliardi di euro).

Abbiamo chiesto a due economisti di confrontarsi sul tema. Luigi Marattin, docente all’Università di Bologna e assessore al bilancio del Comune di Ferrara per il Pd, e Riccardo Realfonzo, docente di economia politica all’Università del Sannio ed ex assessore della giunta napoletana di d Magistris. ”La vulgata – spiega Marattin –  vuole che il Fiscal Compat imponga due obblighi: il pareggio di bilancio e la necessità di rientro con manovre da 50 miliardi l’anno. Non è così, anzi il fiscal compact ci permette di spendere anche quando non potremmo farlo. In questo senso il meccanismo è di stampo keynesiano”. Per Realfonzo invece il trattato europeo offre “margini di elasticità di intervento insufficienti a un’economia in recessione per risollevarsi” ed è “una vera e propria mannaia”.

Posizioni anche molto differenti che però, seppur per motivi diversi, in qualche modo convergono quando si tocca l’argomento dei due valori di riferimento del trattato: il tetto del 3% di rapporto deficit-Pil e l’obiettivo del 60% di rapporto debito pubblico-Pil. Secondo Realfonzo quei due numeri “sono privi di qualsiasi fondamento scientifico“. Per Marattin, che da sempre sostiene la necessità di mettere in sicurezza i conti tagliando la spesa e rilanciando l’economia, “l’impianto del fiscal compact è da rivedere perché pensato 20 anni fa, così come quei due numeri”.

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