Il decreto Imu-Bankitalia è davvero una porcata?
Il decreto Imu-Bankitalia è davvero una porcata? Piano Marshall vi spiega punto per punto il provvedimento, le posizioni dei partiti, le opinioni degli economisti.

3 feb. – Lo hanno detto (anzi urlato) i parlamentari del Movimento 5 Stelle, ma anche economisti di stampo neoliberista, e pure i loro colleghi eterodossi che scrivono sul blog di San Precario. Il decreto Bankitalia “è una porcata”, “un regalo alle banche”, “un’ignominia”. Per altri però il provvedimento avrà benefici “effetti di sistema”, eviterà il collasso del sistema economico italiano e libererà credito di cui beneficeranno imprese e famiglie. Chi ha ragione?
L’Abc del decreto Imu-Bankitalia
Oltre all’abolizione della seconda rata dell’Imu 2013 si è deciso di rivalutare le quote che le banche detengono nell’istituto di Palazzo Coch. Il vecchio valore fu fissato nel 1936 a 300 milioni di lire, oggi 156mila euro. Una cifra suddivisa tra i vari istituti di credito che formalmente rappresentano la proprietà della banca. Scriviamo formalmente perché San Paolo, Unicredit e via dicendo non hanno mai potuto interferire nelle scelte di Bankitalia, un istituto di diritto pubblico sottoposto al controllo del Parlamento e del Ministero del Tesoro. L’attuale governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, è stato nominato nel 2011 dal Presidente della Repubblica su proposta del Presidente del Consiglio, “previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il parere del Consiglio superiore della Banca d’Italia”. Una procedura imposta dalla legge del 28 dicembre 2005.
Con il decreto il valore delle quote di Bankitalia sale da 156mila euro a 7,5 miliardi di euro. Le circa sessanta banche che partecipano al capitale Bankitalia – ma ci sono anche Inps e Inail – vedranno la propria partecipazione rivalutata enormemente, di circa 44mila volte, e inseriranno le relative plusvalenze a bilancio. Da dove arriveranno i soldi della rivalutazione? Non lo Stato, che anzi incasserà quattrini tassando le plusvalenze , ma dai privati. Il decreto impone infatti a chi detiene più del 3% delle quote di vendere. Saranno quindi i compratori a dover sborsare i soldi che poi entreranno nelle tasche, ad esempio, di Unicredit, oggi secondo “azionista” di Bankitalia con circa 22% delle quote. Unicredit dovrà quindi vendere tutte le quote oltre il tetto del 3%, e incasserà circa un miliardo e 283 milioni di euro. Il decreto prevede inoltre il divieto per investitori stranieri di possedere “azioni” Bankitalia. Il ministro dell’economia Saccomanni ha dichiarato che “la rivalutazione del capitale e una più equilibrata ripartizione delle quote di partecipazione alla Banca d’Italia non comportano alcun onere per lo Stato”. Una riforma, recita un comunicato del Tesoro, “che fa chiarezza sulla partecipazione al capitale della Banca d’Italia confermandone l’autonomia e l’indipendenza da altre autorità. Una riforma sulla quale la Banca Centrale Europea ha peraltro espresso parere positivo”. Infine, ma non meno importante, il decreto prevede che l’importo dei dividendi annuali non possa essere superiore al 6% del capitale, cioè potenzialmente potranno essere distribuiti ai soci 450 milioni di euro ogni anno. Ci sono però dei paletti: il decreto preserva ”la possibilità di un rafforzamento della base patrimoniale della Banca mediante la destinazione di una parte di utili alla riserva ordinaria (fino al 20%) e alla riserva straordinaria o fondi speciali (fino al 20%). Allo Stato è comunque riservata la parte di utili non destinata ai dividendi e alle riserve della Banca”.
Cosa dicono gli economisti
Per gli economisti Alberto Bisin, Michele Boldrin e Andrea Moro, il decreto “contiene una (legale) truffa contabile a favore dei bilanci di alcune banche del paese e dell’erario, oltre che un sostanziale trasferimento di risorse dai contribuenti alle banche”. Su Noise From Amerika i tre hanno scritto una lungo articolo raccontando gli effetti di quello che secondo loro è un “decreto porcata”. Il regalo alle banche, spiegano, è stato sì fatto attraverso la ricapitalizzazione delle quote, ma si rinnoverà ogni anno con dividendi non dovuti (se così sarà deciso) sulle quote in mano agli istituti bancari, visto che le banche “ hanno investito un capitale minimo un secolo e passa fa e che, soprattutto, non contribuiscono affatto a generare i rendimenti che vengono dal signoraggio”. E tutto questo senza nessun rischio imprenditoriale Ricapitalizzazione e dividendi saranno poi tassati come plusvalenze, portando nelle casse dello Stato un miliardo e mezzo – soldi, è stato spiegato tra le polemiche, indispensabili per garantire la già annunciata abolizione dell’Imu. “Un’operazione certamente dal sapore piuttosto sgradevole – è la conclusione dei tre economisti – un paese che mette le mani nel patrimonio della banca centrale per risolvere problemi fiscali è un paese arrivato a raschiare il fondo del barile”.
Fermare il declino, ideologicamente parente di Noise from Amerika, propone anche un tabella riassuntiva con le rivalutazioni di cui beneficeranno la banche. Intesa San Paolo, che detiene il 30% delle azioni di Bankitalia, si metterà in tasca un miliardo e 900 milioni di euro. “Dietro gli istituti di credito – conclude Fermare il declino – ci sono le fondazioni bancarie e poiché queste sono generalmente emanazione del territorio, delle amministrazioni locali e quindi dei partiti, la pioggia di denaro, pubblico, che sta per arrivare nelle casse delle controllate potrebbe essere solo un altro sgradevole tassello di quella storia tutta italiana che vede la politica sempre affamata di soldi”.
Poi c’è il blog di San Precario, che ospita spesso interventi di economisti eterodossi a cui piace firmarsi con pseudonimi più o meno fantasiosi. Ma il giudizio è lo stesso : “Porcata istituzionale” e “ignominia”. “Gli azionisti principali – scrive Grateful Dead – non sborsano un euro e si trovano invece ingenti somme in attivo. Ad esempio, Intesa e Unicredit potranno vantare guadagni in conto patrimoniale compresi fra i 2,7 e i 4 miliardi. A seguito di ciò, lo Stato incasserà un gettito fiscale maggiore pari a 1,1 miliardi, guarda caso una cifra non molto dissimile dal mancato introito fiscale in seguito all’abolizione della II rata dell’Imu”.
Infine c’è la Voce.info, che pubblica un pezzo di Tito Boeri intitolato: “Banca d’Italia e il mistero delle quote”. Boeri usa parole pesantissime. Parla di “associazione a delinquere” tra Governo e banche. Il primo contento di tassare le nuove plusvalenze e portarsi a casa i fondi necessari per fornire le “coperture fantasiose ai tagli dell’Imu o alla cancellazione dell’aumento dell’Iva”. Le seconde contente perché senza colpo ferire “potrebbero avvicinarsi a soddisfare i requisiti di capitale imposti nellambito di Basilea 2 e richiesti dalle nuove autorità di supervisione europee”. Continua Boeri: “Questa rivalutazione collusiva lascia un’eredità pesantissima sui contribuenti futuri, perché dovranno d’ora in poi pagare per il tramite di Banca d’Italia dividendi più alti agli istituti di credito privati. Mantenendo l’attuale riparto a un millesimo delle quote, i dividendi distribuiti salirebbero a circa un miliardo all’anno rispetto ai 45 milioni attuali. Inoltre, prima o poi, la banca centrale, quindi tutti noi, dovranno ricomprarsi le quote a prezzi che sono stati artatamente gonfiati per esigenze di breve periodo. Le generazioni future, che hanno già sulle spalle il fardello di un debito pubblico al 130 per cento del Pil, non meritano davvero di ritrovarsi anche un ulteriore punto di pil da pagare in eredità”. C’è da dire che il Tesoro ha dichiarato che i dividenti non supereranno complessivamente i 450 milioni annui.
Sulle stesse posizioni di Boeri gli economisti di Keynes blog. “Se il regalo da 7,5 miliardi non incide immediatamente sul bilancio pubblico, inciderà l’impegno a corrispondere ai soci da qui in avanti dividendi pari al 6% di tale valore, ovvero 450 milioni. In cambio, le banche pagano un’imposta sostitutiva del 12% sulla plusvalenza. Insomma: nelle casse dello stato entrano immediatamente 900 milioni, a fronte di una minore entrata 450 miloni annui a partire dal prossimo anno. Siamo sicuri che ne valga la pena?”.
Cosa dicono i partiti
Sel ha votato contro quello che ha definito “il più grande regalo di sempre alle banche italiane”. Ad opporsi anche i deputati del Movimento 5 Stelle, che hanno tentato – inutilmente – di interrompere anche fisicamente le votazioni. E’ proprio durante le caotiche operazioni di voto che l’onorevole 5 Stelle Loredana Lupo, mentre stava tentando di lanciarsi sui banchi del governo per occuparli, ha ricevuto una manata. E’ stata intercettata da Stefano Dambruoso, montiano di Scelta Civica, ex pm antiterrorismo e questore della Camera. L’operazione è invece piaciuta al Pdl. Renato Brunetta, ex economista e capogruppo dei berlusconiani alla Camera, all’agenzia Radiocor parla di un’operazione win-win-win. “Derivano benefici per tutti: per le banche, che si ricapitalizzano e affrontano con meno pathos i parametri di Basilea III; per le imprese e le famiglie, che vedono riaprire nei loro confronti i rubinetti del credito; per lo Stato, che trae vantaggio in termini di gettito”. Poi c’è il Partito democratico, che ha votato compatto a favore del decreto, necessario per coprire la seconda rata dell’Imu. “Senza l’approvazione del decreto gli italiani dovranno pagare l’Imu”, è stato il mantra dei parlamentari Pd. Per far capire la ratio del provvedimento, il Pd ha messo online una serie di domande e risposte sul tema Bankitalia, esplicitando anche alcune perplessità sullo strumento della riforma – un decreto quando sarebbe stata più opportuna una legge. Il deputato e relatore del decreto Imu-Bankitalia Marco Causi (Pd), ha spiegato in aula le ragioni dei democratici. Non un regalo alle banche, ha detto in sintesi, ma un’operazione che farà bene a tutto il sistema, anche alle famiglie e alle imprese che potranno accedere più facilmente al credito.
Noi di Piano Marshall abbiamo deciso di affrontare la questione con Massimiliano Marzo, professore di economia dell’Università di Bologna. Per Marzo l’operazione Bankitalia ha permesso di salvare i bilanci disastrati della banche italiane. “Dobbiamo guardare in faccia la realtà, il decreto era necessario”, ha spiega Marzo. Ecco l’intervista.