25 apr. – “Se lo rifarei? Certo che sì”. A parlare è Ermenegildo Bugni, nome di battaglia “Arno“, segretario dell’Anpi provinciale di Bologna. Classe 1927, figlio di un socialista ucciso negli anni Trenta dai fascisti, Gildo entra giovanissimo nelle fila del movimento di liberazione. Il tramite tra lui, adolescente appena trasferitosi con la madre e il fratello a Bologna da l’Aquila dopo la morte del padre, e il movimento partigiano è il dottor Casoni: un tecnico dentista comunista che “già aveva assaggiato le galere fasciste”.
Il 15enne Gildo inizia così la sua avventura, trasporta armi e messaggi tra le basi che i partigiani hanno in città. Fino a quando Casoni non gli consiglia di andare in montagna: i fascisti lo hanno già fermato parecchie volte, conoscono la sua attività, quindi è meglio che Gildo cambi aria. Due le possibilità: o il Bellunese, dove combatterono molti comunisti bolognesi, oppure l’appennino tra Modena e Bologna. Gildo non voleva andare troppo lontano dalla mamma vedova e così sceglie la seconda opzione. Arriva a Vidiciatico e diventa “Arno”. Trascorre 8 mesi in montagna. Impara a sparare, a camminare senza farsi sentire, ad uccidere. Vive di stenti, al freddo, patisce la fame. Viene ferito e fatto prigioniero, rischia la fucilazione e la deportazione, ma riesce a fuggire e ritorna operativo, questa volta in città.
Il ricordo più bello degli 8 mesi in montagna per Gildo è la ‘fratellanza‘ che si è creata tra i partigiani. Di ricordi brutti, invece, ce ne sono tanti.
Ascolta Ermenegildo Bugni Arno_primo
Alla domanda, “lo rifaresti”, Bugni risponde “Sì, lo rifarei”. Precisando, però, che i tempi sono cambiati: loro, i partigiani, furono costretti a fare la guerra alla guerra con la violenza. Ora non ci deve più essere spazio per la violenza.
Ascolta Ermenegildo Bugni Arno_secondo
foto di Silvia Raggetti
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