Bologna, 13 gen. – Dopo l’incontro fra una delegazione degli occupanti e l’assessore al Welfare Amelia Frascaroli, al Beretta si comincia a fare le valigie. All’ora di pranzo, chi può approfitta della pausa dal lavoro per preparare velocemente i bagagli, perché l’intenzione e di liberare spontaneamente la struttura di via XXI aprile (di proprietà dall’Ausl) in uno due giorni, evitando lo sgombero imminente. “Nessuno andrà per strada”, spiega Giorgio Simbola di Usb Migranti, le famiglie, le donne titolari di asilo politico e due rifugiati in condizioni sanitarie critiche saranno ospitati temporaneamente all’Ostello S. Sisto, mentre gli uomini rifugiati politici andranno prima in dormitorio poi in una struttura già individuata dal Comune.
“Abbiamo individuato un percorso che, data la situazione di partenza, abbiamo ritenuto opportuno accettare”, prosegue Simbola, riferendosi alle ultime settimane caratterizzate dai distacchi della corrente elettrica, dalla preoccupazione espressa dal procuratore dei minori Ugo Pastore, dalla relazione dei vigili del fuoco che hanno valutato pericolosa la permanzenza nell’edificio in cui si era costretti a scaldarsi con stufe a combustione e bottiglie riempite di alcol.
La soluzione per le prossime settimane sarà transitoria per la maggior parte degli abitanti del Beretta. Le famiglie e le donne con asilo politico, infatti, sono destinate, dopo massimo un mese di permanenza all’ostello, ad alloggi per l’emergenza abitativa che si trovano a Bologna; i rifuguati, invece, dopo la soluzione tampone all’interno del piano freddo, saranno presi in carico nell’ambito di una sorta di terza accoglienza.
Si tratta in tutto di un’ottantina di persone, fra cui una donna alla fine della gravidanza, 20 minori di età compresa fra gli zero e i 14 anni; 16 bambini e ragazzini vanno a scuola e “con questa soluzione garantiamo loro di non perdere neanche un giorno di scuola”, dice Simbola, che sulla fine di questa esperienza di occupazione durata quasi due anni commenta: “Sicuramente non è una vittoria, perché un bene pubblico torna nella mani della speculazione. Ma non aveva senso difendere un’occupazione che non garantiva più la dignità”.
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