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Cesare Basile: l’autogestione, l’anarchia, l’autenticità

26 apr. – Cesare Basile è stato ospite, giovedì scorso, di ArtRockMuseum: come tradizione, prima del live a Palazzo Pepoli, il cantautore catanese è passato dai nostri studi per un live e una chiacchierata con Maps, che già lo aveva ospitato in occasione dell’uscita del suo ultimo splendido disco. “Farò un album nuovo in autunno“, ha detto ai nostri microfoni, trovando spazio anche per suonare un paio di brani con voce e chitarra. Basile ha parlato in libertà e rilassatezza, cominciando da una questione che gli sta molto a cuore, quella del Teatro Coppola di Catania. “L’esperienza di autogestione del teatro non va bene al potere: chi detiene la democrazia non ha interesse affinché queste forme alternative di gestione sopravvivano, perché sono esempi scomodi, a prescindere dal risultato”: per dissuadere l’esperienza ci sono stati controlli, applicazioni esasperanti della burocrazia, “basse ostilità”, come le ha chiamate il nostro ospite. “Finora le autogestioni hanno avuto a che fare con settori specifici, dagli studenti al mondo dell’arte: ma in questi termini di ‘crisi infinita’ un’autogestione legata ai fabbri e agli artigiani potrebbe essere una soluzione”, ha concluso Basile.

Con il musicista abbiamo anche parlato di radici, prendendo come esempio il disco di Alfio Antico: “Secondo me con questo lavoro si è riappropriato di una poetica rurale, liberandosi da alcune sovrastrutture: Antico è il disco di un musicista legato al concetto fisico di terra, con le mani sporche, più sporche del solito. La terra si sente nel suono degli strumenti, nella composizione, nella voce“. Un lavoro senza tempo, “come la terra sporca”, conferma Basile, con il cui abbiamo affrontato un concetto complesso, come quello di autenticità. “Quando si impara un’arte marziale, si imparano i fondamentali e si fanno per tutta la vita: ecco, credo che si stia tornando alle radici, ma non per questioni leghiste-identitarie. Tornare alle radici è come ricominciare a fare i fondamentali: il blues, le musiche popolari del Sud Italia o quelle dei fiumi vietnamiti sono vicinissime tra loro. Questo perché il racconto di queste storie appartiene all’umanità: oggi si producono storielline che forse appartengono ai cinque minuti in cui le hai scritte”. Un concetto completamente diverso di condivisione, profondo come la poetica del cantautore.

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