Foto Flickr CC di Michael Coghlan
21 feb. – C’è molta confusione e ignoranza sotto il cielo delle discussioni sul tema dell’anonimato in rete. Si parla di “odio” e di “leggi speciali”. Pensatech ha deciso di fare un po’ di chiarezza.
In questa seconda puntata ne parliamo con Massimo Mantellini (@mante) e Claudio ‘Vecna’ Agosti (@sniffjoke).
Per Mantellini ci sono troppe persone che hanno scambiato internet per qualcosa che non è. C’è una barriera culturale da superare. Tra le varie cose lo stereotipo dell’anonimato, ma, ci ricorda Mantellini, “gran parte delle minacce e offese erano fatte da Facebook da persone riconoscibili con nome e cognome, spesso anche la foto”. C’è un problema culturale che riguarda i commentatori sui media ma anche chi scrive “in maniera sconclusionata” su internet.E ricordiamolo: riconoscere una persona che ha lanciato offese sulla rete è facile, molto più che farlo con un passante per strada.
La privacy, anche l’anonimato, diventa spesso necessario per chi fa attivismo in rete. Lo sanno bene al Centro Hermes per la trasparenza e i diritti umani digitali, che diffonde l’utilizzo del software gratuito GlobaLeaks. L’obiettivo è la trasparenza delle istituzioni pubbliche, ma va di pari passo alla protezione degli utenti in rete, che siano attivisti, giornalisti, fonti anonime. Lo stesso centro Hermes ha sviluppato una piattaforma per il giornalismo investigativo, IRPI. Per proteggere le fonti in rete infatti c’è bisogno di strumenti adatti.
Qui c’è bisogno di fare una distinzione sul termine anonimato. La precisazione è di Claudio Agosti presidente del centro Hermes: “Un conto è l’anonimato ‘di servizio’, quello legato all’impossibilità da parte del social network di capire se il nome e cognome che dichiari sia vero, diverso è l’anonimato ‘di rete’, l’impossibilità di capire cosa hai fatto da parte di chi monitora la rete”. L’esempio è possibile nel caso del posto di lavoro: quando si comunica l’assenza di malattia il responsabile del personale non viene informato sul tipo di malattia, al contrario potremmo svelarlo all’amministratore della rete aziendale facendo ricerche online dal computer di lavoro.
Dovrebbe farci più paura la nostra mancata consapevolezza di questi meccanismi, che gli insulti in rete, spesso provenienti da persone che già fanno parte della nostra quotidianità offline.
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