19 mar. – “All’inizio pensavamo di volere fare jazz: ci siamo conosciuti nell’ambiente romano, ma a fare quelle jam session non ci siamo trovati bene.” Caterina Palazzi ha raccontato così ai microfoni di Maps la nascita della sua band, che al suo nome unisce una “forma difficilissima del popolare gioco giapponese”. Il quartetto è passato dall’Arteria di Bologna che ha ospitato una delle date del tour di Infanticide, disco pubblicato a gennaio dalla Auand, che avevamo conosciuto per l’album dei Bad Uok.
L’album è scurissimo e fa delle contaminazione la sua cifra stilistica: il titolo è un richiamo esplicito a una raccolta dei Nirvana, Incesticide, le distorsioni sono parte del menù gestito da Antonio Raia (sax tenore), Giacomo Ancillotto (chitarra), Maurizio Chiavaro (batteria) e dalla contrabbassista Caterina Palazzi. Un insieme di musicisti che, dagli inizi difficili, ha visto il panorama jazzistico della Capitale mutare intorno a sé: “Al liceo ascoltavamo i Nirvana, i Led Zeppelin, ma anche Sun Ra e l’ultimo Coltrane, ma il mondo del jazz romano, una decina di anni fa, era chiuso su un contesto storico e geografico lontano dal nostro”, hanno raccontato i nostri ospiti.
Il risultato è un disco scuro, compatto e coerente: una delle direzioni possibili che la musica jazz italiana, ma forse la musica italiana tout court, vorremmo che prendesse.
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