foto di Silvia Tofani
25 gen. – “Quando ho cominciato a lavorare a questo album sono partito dal presupposto di eliminare alcune cose appartenenti al passato“: così il cantautore Brunori Sas racconta ai microfoni di Un weekend postmoderno il suo quarto disco, intitolato A casa tutto bene. “Non mi pento dei lavori precedenti, ho semplicemente scelto un altro tipo di narrazione. Parlo di attualità, della paura, ma attraverso un mix di disillusione e amarezza che non sfocia mai nel disincanto totale. Alla fine sono rimasto un inguaribile ottimista.” Un dialogo a più voci, una conversazione intima tra le paure e i dubbi dell’uomo, raccontati con una giusta dose di ironia e che, a partire dal titolo, privato dalle precedenti suddivisioni in volumi, mostra il raggiungimento di una maturità importante nella carriera del musicista. “Questi pensieri nascono da una lunga permanenza a casa dopo una serie di concerti”, ci racconta. “In questo periodo ho vissuto di fronte a un bivio: da una parte sarei voluto restare a casa, anche metaforicamente parlando. Dall’altra volevo stare fuori, vivere nel mondo. È un disco d’attrito tra due parti di me”.
Un lavoro autocritico e complesso: l’artista crea un dialogo con se stesso, come avviene nella seconda traccia “L’uomo nero“, mentre altre volte la riflessione assume tratti postmoderni alla Bauman, come in “La vita liquida“, raccontata con sonorità differenti rispetto alla formula dei dischi precedenti, dove a dominare era l’accoppiata chitarra-voce. Ecco comparire strumenti quali le mandole del ‘700, gli archi e fiati che creano un ponte tra sonorità del passato e temi fortemente attuali. Queste scelte hanno a che fare con un approccio diverso del cantautore calabrese: “È il lavoro del quale sono più felice, perché ho avuto il tempo di lavorarci. Nei dischi precedenti ho sempre provato la sensazione di non averne abbastanza”. Il luogo della creazione, la casa, è presente fin dalla copertina, curata da Giacomo Triglia (regista di quasi tutti i videoclip del cantautore, dal primo “Come stai” all’ultimo “La verità“) che mostra, con una grafica vintage “alcuni oggetti degli anni ’60 e ’70 che danno un’idea di casa, come l’attaccapanni. Se ci pensi, è la prima e l’ultima cosa che vedi quando entri”.
In attesa della tappa bolognese il 25 febbraio all’Estragon, qui sotto potete ascoltare l’intervista completa.
Elena Usai
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