Assolto perché incapace di intendere. La vittima: “Così l’incubo non finirà mai”

Bologna, 24 gen. – “È finita nel peggiore dei modi. Dandogli l’incapacità di intendere e di volere all’epoca dei fatti e come condanna un anno di libertà vigilata”. Così si è concluso il processo di Francesca, con un esito che ricorda tanti altri. A cinque anni dalla denuncia all’ex partner Giacomo Oldrati, accusato di tentato omicidio, lesioni aggravate, sequestro, violenza privata e sessuale, “non è cambiato nulla”, ammette Francesca. L’imputato è stato assolto dal collegio dei giudici presieduto da Roberto Giovanni Mazza e le motivazioni si sapranno entro 90 giorni, quando saranno depositate. Ma le violenze agite, su quattro ragazze in totale, sono state riconosciute, e ora Francesca lancia un appello al Ministro della Giustizia, Andrea Orlando: “Non si può sentire in un’aula di Tribunale che i capi di imputazione cadono perché è stata data l’incapacità di intendere e di volere, perché ci fate rivivere di nuovo tutto quanto, come se l’incubo non fosse mai finito”.

“Credo che alcune cose che ha compiuto possano essere legate alla malattia”, spiega Francesca, “ma tutto il resto non c’entra niente. Credo che la violenza sia sempre una scelta: tu, uomo, decidi di essere violento”. Eppure l’elemento della violenza di genere non è mai stato sollevato durante il processo, per “ignoranza”, perché “è un argomento che in Italia non si conosce”. Lasciando spazio anche a domande della difesa intrise di luoghi comuni, quali: “Saresti potuta scappare”. Francesca ricorda l’episodio, arrabbiata, “quando gli avvocati di Giacomo me l’hanno detto gli ho risposto che non avevano idea di cosa significasse essere in balia di un violento. Ogni tuo gesto può essere interpretato male e quindi senti la tua vita nelle sue mani perché sai che lui ti può ammazzare quando vuole. Quindi piuttosto che dire che potevo scappare, io dico che la polizia poteva intervenire”.

Il risultato è che un processo penale si è trasformato negli anni in una valutazione della malattia mentale dell’imputato, spostando completamente l’orizzonte della discussione. “Impossibile immaginare” per Francesca che ci sarebbero voluti tanti anni per un esito di primo grado nemmeno valutato lontanamente tra le sue ipotesi. “Credevo sarei stata tutelata. Una donna arriva finalmente a denunciare – anche questo è complicatissimo – e non le viene dato quello che si aspetta e soprattutto quello che merita”. Eppure, se da un lato Francesca si sente “ferita e schifata”, dall’altro sa che queste cose possono succedere a tutte, anche a chi pensa “ma come ha fatto a non rendersi conto che sarebbe andata così”? Perché la violenza è “una spirale” che ti fa perdere “aderenza con la realtà”.

Fin dall’inizio di questa storia i media diedero ampio spazio al caso, Francesca fu anche ospite di un noto programma televisivo, nel tentativo di sensibilizzare il pubblico. Ma è proprio nella narrazione di queste violenze, tanto comuni quanto sottostimate, che “la figura che viene data dell’uomo è sbagliata”, spiega Francesca. “Sembra un pazzo, un mostro che si è approfittato di povere ragazze spaventate. Ma una persona violenta non è pazza. È semplicemente un uomo che fa una vita estremamente normale e per motivi culturali pensa che gli sia permesso comportarsi così”. Perciò la lotta di Francesca non si ferma qui: “Continuiamo a manifestare, cerchiamo di educare la società, noi donne e uomini, perché i rapporti umani non sono questi”.