27 apr. – Tra i pionieri dell’underground italiano, Amerigo Verardi ha sorpreso tutti pubblicando, dopo trent’anni di carriera, Hippie Dixit, un doppio album che è stato presentato ieri nel terzultimo appuntamento con Artrockmuseum. “Il mio è un percorso di vita più che una carriera artistica”, ha raccontato il musicista brindisino ieri a Maps, evidenziando da subito come Bologna abbia avuto un ruolo fondamentale per l’inizio del suo viaggio: infatti Verardi fonda proprio qui la sua prima band, gli Allison Run, a cui sono seguiti i Lula. “Da lì sono cominciate le produzioni: ho lavorato ai primi due dischi dei Baustelle, a Nessuno è innocente dei Lotus e c’è stata una fase insieme a Marco Ancona con due dischi in studio” E infine quest’album registrato e composto da solo.
Un lavoro variegato e denso di suoni, con brani dalla struttura complessa e affascinante: una narrazione da 100 minuti che “è l’offerta di un tempo perduto, disperso, che do all’ascoltatore dopo averlo offerto a me stesso”, ci ha detto il nostro ospite, sottolineando l’onestà, la purezza e la schiettezza, nonché l’ironia che il suo ultimo disco mostra a partire dal titolo. “Un album del genere non doveva essere sovraccaricato di significati profondi, perché c’è la musica: avrei anche potuto fare a meno dei testi”, ha continuato, sottolineando come le canzoni che lo compongono parlano di presente e passato, ma costruiscano anche un ponte con il futuro e traccino un itinerario tra i continenti. “I luoghi che cito nell’album sono tanti: dalle zone dell’India, colme di spiritualità, alla fisicità esasperata dell’Africa settentrionale, per arrivare ai luoghi del Mediterraneo, dove queste dimensioni sono più equilibrate, come nell’Italia meridionale dove si concentrano magie e significati profondi“.
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