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Alla scoperta delle radici dei Black Heart Procession con Pall Jenkins

7 mar. – Sabato scorso il Locomotiv Club è diventato un posto magico: l’appuntamento di marzo con Murato, la rassegna patrocinata da Radio Città del Capo e Unhip Records, ha portato infatti in via Serlio i Black Heart Procession, che hanno suonato per intero il loro debutto 1, uscito nel 1998: “Vent’anni, non posso credere che sia passato tutto questo tempo!”, ha raccontato a Maps Pall Jenkins, ritornando con la memoria agli ultimi mesi del 1997: “All’epoca eravamo solo io e Tobi [Tobias Nathaniel, l’altro fondatore della band, ndr]: vivevamo insieme e esploravamo nuove possibilità, scrivendo pezzi che avessero un feeling differente da quelle che scrivevamo per i Three Mile Pilot [la band in cui i due militavano, ndr]. Canzone dopo canzone abbiamo messo insieme un album e dato via a un nuovo progetto: nessuna regola, strumenti diversi”.

1 è ormai un disco di culto non solo per il panorama alt rock e slowcore, giocato per lo più su arrangiamenti scuri e acustici, pervaso da una sensazione di dolorosa malinconia: “La tristezza e i pensieri tristi ci stanno sempre accanto: vale per tutti, tutti hanno momenti belli e brutti nella propria vita che si alternano durante la giornata”, ci ha raccontato Jenkins, aggiungendo che “suonare queste canzoni oggi è strano, perché molte di esse non le abbiamo portate dal vivo per anni, o addirittura mai: ora le risuoniamo con un nuovo piglio, ma i suoni ci piacciono e i musicisti sul palco anche”.

E una degli incantesimi che la band e l’album gettano sull’ascoltatore è legato alla cura assoluta che i BHP hanno sempre messo nella creazione di ambienti sonori: “La nostra idea è sempre stata quella di creare canzoni che richiamassero alla mente visioni e personaggi: ognuna delle canzoni che abbiamo scritto ha un suo posto preciso nel nostro immaginario”, ha raccontato il musicista ai nostri microfoni, specificando però che la band ha evitato da sempre le complicazioni inutili. “Sono canzoni nate con quelle parole e quelle atmosfere”, così speciali anche perché – ci ha rivelato il nostro ospite – “sono state registrate sotto certe stelle, vicino a certe cascate e, talvolta, anche all’aperto, in un bosco d’inverno: tutto si è poi trasferito nei pezzi”.

Ma non prendete troppo sul serio la patina scura della processione del cuore nero: “Non siamo depressi 24 ore al giorno, amiamo fare musica e pensiamo sia un dono e un’opportunità. Perché ciò accada, però, bisogna diventare parte della musica stessa e dimenticare una lato di se stessi per godere della condivisione di sentimenti e sensazioni, serata dopo serata”.

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