11 mag. – Il titolo del disco è Sfardo, che vuol dire “strappo” in palermitano: questa è la lingua scelta da Alessio Bondì per il suo esordio, pubblicato da Malintenti Dischi e 800A Records un mese fa. “Non so se il palermitano sia una lingua o un dialetto: io canto nella lingua in cui parlo”, ha tagliato corto, senza addentrarsi in questioni sociolinguistiche come ha fatto un altro musicista proveniente dall’isola che abbiamo ospitato di recente, Cesare Basile. Il disco, che ha avuto una lunga lavorazione, si chiama Sfardo innanzitutto perché la canzone omonima è la prima che Alessio ha scritto in siciliano, e questa è stata una rivelazione “piuttosto traumatica: d’altro canto ogni strappo include un trauma. È la condizione che ti fa scrivere, che salda una scissione interna, oppure è proprio da questo strappo che fuoriesce una canzone: in ogni caso si parte da una situazione di sofferenza“.
Eppure il musicista, che è stato nei nostri studi la scorsa settimana il giorno dopo un curioso live nella corte di un ristorante del centro cittadino (“l’inizio di ogni carriera è fatto dal suonare dappertutto”), attraversa nelle tracce del disco tanti umori e sentimenti diversi. Sentite, ad esempio, la gioia infantile della filastrocca che apre il nostro showcase, “Di cu si”: “Parla del gioco che si fa con i bambini, quello di ‘rubare il nasino’: mi sono informato e si fa dappertutto”. L’universalità del pretesto di questa canzone è riflessa in tutto il disco, che usa la musicalità del siciliano come uno strumento, sfruttando alcune peculiarità linguistiche in senso propriamente poetico e giocando con i generi. Ci sono momenti quasi psichedelici, ritmi tropicali, pezzi più dolenti e sofferti e aperture quasi comiche, come in “Vucciria”. Ma ci credereste che l’album che ha fatto venire voglia di suonare a Bondì sia stato il primo omonimo disco dei Franz Ferdinand? Tutto questo e molto altro ancora nella nostra intervista.
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