Nella stagione venatoria 2017 sono stati abbattuti in Emilia Romagna circa 20 mila cinghiali; nel 1986 i cinghiali abbattuti in regione furono appena 1800. Discorso simile, nei numeri, per quanto riguarda i caprioli. Alla base di questa esplosione demografica ci sono vari elementi: indici riproduttivi molto elevati (soprattutto per il cinghiale), assenza di predatori naturali e abbandono delle montagne e della gestione dei boschi. Questo proliferare di cinghiali e caprioli porta con sé un aumento dei danni provocati dagli animali alle colture e, soprattutto per i caprioli, ad un aumento dell’incidentalità. E’ nel contenimento di queste specie che entra in gioco il cacciatore. Ma non “il cacciatore tradizionale” di questi territori, il “cacciatore della domenica”, ma un cacciatore che si “merita i suoi capi” contribuendo alle attività di gestione e conservazione delle specie: censimenti e opere di prevenzione ai danni all’agricoltura prodotti dagli animali.
A causa della costante diminuzione dei cacciatori e del mancato ricambio generazionale, non è da escludersi che nel giro di alcuni, pochi, anni quella del cacciatore diventi una vera e propria professione.
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