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Adattamenti. Coronavirus: le produzioni calano, lo smog pure. Le Isole Fiji e il dissenso sui social (che manca)

Foto pubblicata da Nasa Earth

3 mar. – Le attività economiche inquinano e i cambiamenti climatici di origine antropica hanno a loro volta un effetto sulle attività economiche. Un nesso di doppia causalità che viene indagato nel ‘Rapporto sulle economie del Mediterraneo 2019′ curato dall’Istituto di studi sul Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Ismed) e coordinato da Salvatore Capasso. Come funzioni, si comprende molto bene osservando dall’alto le mappe della Cina prodotte dalla Nasa: “Nelle 3 settimane che hanno seguito lo scoppio dell’epidemia, in Cina c’è stato un calo nelle produzioni di Co2 di 150mila tonnellate: l’equivalente di quello che produce New York in un anno”. A differenza di quanto si potrebbe pensare, però, questo non significa che la soluzione sia bloccare lo sviluppo, piuttosto il contrario. “Bisogna portare il progresso tecnologico anche nei Paesi che producono di più”, in modo da rendere più efficienti i sistemi produttivi.

Un discorso che non vale solo per la Cina, ma anche per le Regioni attraversate dalla Pianura padana, le più inquinate d’Europa secondo l’EEA (European Environment Agency). Superata l’emergenza sanitaria, arriverà il momento infatti di valutare “quanti morti stiamo risparmiando in questi giorni in cui le mappe dell’Arpa ci dicono che stiamo respirando meglio, con la diminuzione del traffico e delle emissioni”, ragiona la giornalista ambientale Rosy Battaglia. “Anche se non siamo abituati a considerare l’inquinamento un pericolo”, non va dimenticato che sono quasi 60mila le persone che muoiono ogni anno precocemente per micropolveri.

Dalla Cina, passando per la Pianura padana fino alle Isole Fiji, alle quali il Governo neozelandese ha recentemente donato 2 milioni di dollari (all’interno di un pacchetto di 150 milioni) per sostenere le comunità costiere minacciate dall’innalzamento dei mari. “Si tratta – spiega Beatrice Ruggieri, dottoranda dell’Università di Bologna al Dipartimento di Storia, Culture e Civiltà – di un arcipelago di 300 isole, di cui un centinaio abitate da 1 milione di persone. Da qualche decennio sono toccate dalle conseguenze dei cambiamenti climatici, non solo l’innalzamento del livello dei mari, anche eventi a rapida insorgenza come l’intensificazione di cicloni e alluvioni“. E ad oggi il Governo ha sostenuto il trasferimento di 5 comunità, ma ce ne sono altre 42 ad aver chiesto già aiuto.

Infine, il giornalista Simone Cosimi analizza le origini del “like” sui social network (e non solo) e le ragioni per cui il dissenso non trovi spazio in questi ambienti virtuali. La ragione “affonda nei processi psicologici e di maketing” che hanno poi contaminato le piattaforme fin dalla loro nascita, per questioni di business e anche culturali. Facebook (prima ancora FriendFeed), poi Twitter, Instagram, TikTok… sono tutte “piattaforme costruite a senso unico per non concederci con troppa facilità la possibilità di dire la nostra” con un semplice “pollice verso”. L’unica strada per il dissenso rimane quindi il commento o la banalizzazione di un sentimento di “rabbia” attraverso una reaction su Facebook. Quanto sarebbe quindi importante, in questo mondo connesso, poter dire semplicemente “non mi piace”? Cosimi risponde a tutto questo nel suo ultimo libro, Per un pugno di like (Città Nuova).

Roberta Cristofori

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