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Adattamenti. Alberi, alleati (o quasi) contro il particolato. La lotta degli ‘hambachers’ e quella di Rosarno

12 feb. – Gli alberi sono tra i principali alleati contro l’inquinamento, anche nelle città. Ma lo sono anche nella lotta all’inquinamento (o più precisamente al particolato)? Secondo Francesco Ferrini, presidente della Scuola di Agraria dell’Università di Firenze ed esperto di arboricoltura, “dipende”. È probabile, spiega il professore, che “in certi contesti la loro presenza influisca in modo negativo sulla concentrazione di inquinanti”. Accade “nelle strade molto strette, circondate da edifici di altezze considerevoli”, dove si creano quei “canyon urbani” che, se situati in direzione perpendicolare rispetto ai venti dominanti e in presenza di alberi, possono causare un ristagno di aria negli strati più bassi, proprio dove si accumulano gli inquinanti. “Fermo restando – precisa Ferrini – che tutti gli altri vantaggi rimangono. Questo discorso specifico riguarda solo il particolato”.

Gli alberi sono anche gli alleati degli “hambachers”, attivisti e attiviste che dal 2012 in Germania stanno combattendo una resistenza contro la distruzione della foresta millenaria Hambach ad opera della RWE, compagnia elettrica che ha individuato quest’area come bacino estrattivo per il carbone. Un esperimento di resistenza ecologista testimoniato dal documentario Hambachers, come descrive la co-regista Leonora Pigliucci, che parte dall’occupazione della foresta ad opera di questa “comunità utopistica-anarchica-libertaria” e si trasforma in un “ripensamento sul modo di vivere del capitalismo”.

Un’altra lotta “che scosse le coscienze” fu quella condotta dieci anni fa dai lavoratori agricoli di Rosarno. Una rivolta contro ‘ndrangheta e segregazione, che spinse “tantissime persone a impegnarsi”, che portò a “due leggi nazionali per contrastare caporalato e sfruttamento” ma alla quale non ha fatto seguito un reale smantellamento di quelle condizioni di sfruttamento. Mimmo Perrotta, docente di Sociologia della Comunicazione e Processi culturali all’Università di Bergamo, nel volume Rosarno, la rivolta e dopo, individua le tre ragioni principali: “È rimasta la struttura squilibrata delle filiere agro-alimentari, nelle quali le aziende agricole subiscono una grande pressione in un mercato liberalizzato; è arrivata una legge sull’immigrazione e sull’asilo che rende i braccianti più vulnerabili e fornisce manodopera a basso prezzo; non ci sono state politiche attive, se non in pochi casi, per fornire servizi necessari all’agricoltura”.

Roberta Cristofori

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