Italpizza: l’ipotesi di accordo c’è, ma spacca i sindacati
Dopo la trattativa con Cgil, Cisl e Uil, l’azienda si impegna a internalizzare 600 dipendenti dal 2022 con contratto adeguato, ma il sindacato Si Cobas denuncia un accordo insufficiente, che rischia di riportare molti lavoratori ai livelli minimi di contribuzione

18 lug. – Dopo nove mesi di lotte operaie, scioperi e proteste fuori dai cancelli, Italpizza ha infine accettato di sottoscrivere un accordo con i sindacati confederali Cgil, Csil e Uil per tentare di metter fine a questa lunga vertenza. Un accordo strappato dopo ore di trattativa notturna, nel quale l’azienda modenese dichiara di impegnarsi a internalizzare 600 addetti dal 2022 con l’adeguato contratto alimentaristi e un’immediata progressività economica per il periodo di transizione. “È ancora un’ipotesi – spiega Cesare Pizzolla, segretario Fiom-Cgil di Modena – che prima deve passare dalle assemblee” ma è certamente “una prima vittoria dei lavoratori”, che “prova a dare una risposta al problema degli appalti”. Le rivendicazioni nascono infatti perché dei 1000 dipendenti, “solo 100 sono assunti da Italpizza”, mentre i restanti 900 sono in appalto a due cooperative esterne, che non hanno applicato finora il contratto degli alimentaristi, ma il multiservizi, sistema utilizzato “per abbassare il costo del prodotto e le condizioni dei lavoratori”.
Rimangono per ora fuori dall’accordo i 300 lavoratori che fanno parte del comparto logistica e confezionamento. “Su di loro c’è una discussione aperta”, commenta Pizzolla, che il sindacato auspica si possa concludere nelle prossime settimane con un’intesa basata sull’applicazione dell’internalizzazione, o almeno sulla giusta applicazione del cambio di contratto verso quello della logistica-merci. Inoltre, il segretario modenese garantisce che “ogni lavoratore sarà ricollocato a seconda delle attività che svolge”, senza scendere di livello. Infine, l’ipotesi di accordo chiude anche al rischio esuberi di fronte alla volontà di espansione dell’azienda, che ha già dichiarato metterà in campo investimenti pari a 25 milioni di euro e un ampliamento dello stabilimento di 1.750 metri. E “se farà qualcosa di diverso da quando scritto – scandisce Pizzolla – dovrà impegnarsi a ricollocare i lavoratori”.
Seppur non presenti al tavolo di trattativa, in questi “nove mesi duri” il sindacato Si Cobas è stato affianco ai lavoratori fin dal primo momento e ha giudicato l’accordo come “un passo avanti ma insufficiente”. Questo perché, spiega il sindacalista Marcello Pini, se da un lato “viene riconosciuta la validità delle rivendicazioni, con il corretto contratto alimentare e le assunzioni dirette”, dall’altro “per molti lavoratori significherà tornare ai livelli minimi di contribuzione“. Nel 2015 infatti ai lavoratori veniva già applicato il contratto alimentare, finché nel dicembre di quell’anno “Cgil, Cisl e Uil hanno firmato affinché i lavoratori passassero al contratto pulizie multiservizi, che è quello che si contesta oggi. Grazie alla lotta si arriva all’accordo attuale ma di fatto si tornerà alle condizioni di 6 anni fa”, denuncia Pini. “Le differenze tra la retribuzione corretta e quello che percepiscono oggi è 450 euro mensili lordi. In 2 anni e mezzo si avrà un aumento di 100 euro: è chiaro che la forbice di rapina sugli stipendi dei lavoratori continua ad esserci”.
Ora l’assemblea dei lavoratori dovrà votare l’ipotesi di accordo e, sebbene il sindacato autonomo non abbia dato alcuna indicazione ai 100 iscritti, Pini confessa che il rischio di divisione tra lavoratori sta creando forti malumori tra i loro iscritti, che non sembrano favorevoli all’accordo, perciò “probabilmente la maggior parte di loro voterà contro”. L’obiettivo è ottenere il “passaggio immediato di tutti al contratto alimentare, la cessazione delle discriminazioni sindacali e l’assunzione diretta di tutti”. Infine, aggiunge che “la cosa più grave è stata l’esclusione dal tavolo delle trattative del sindacato che aveva promosso la vertenza: essendo stati i promotori degli scioperi avevamo tutto il diritto di sederci a quel tavolo”. Un precedente che Pini definisce “grave” e che si farà “di tutto per impedire che venga generalizzato”.