Intervista ai Low: “Double Negative, l’ultimo album della nostra carriera?”

L’intervista ad Alan Sparhawk e Mimi Parker dei Low nei camerini dell’Antoniano, in occasione del sold out dello scorso weekend.

Radio Città del Capo - Intervista ai Low: “Double Negative, l’ultimo album della nostra carriera?”

Bologna, 6 aprileI Low non hanno certo bisogno di presentazioni. Il loro ultimo album Double Negative, pubblicato lo scorso anno da Sub Pop, è finito in tutte le classifiche di fine anno dei maggiori siti musicali del mondo, stupendo quanti immaginavano che una band già appartenente di diritto alla storia del rock e dello slowcore, dopo venticinque anni di carriera non riuscisse a reinventare da capo il proprio suono, spingendo ancora oltre l’asticella della complessità e della ricerca all’interno della propria produzione. In occasione della data sold out all’Antoniano dello scorso weekend abbiamo scambiato qualche parola con Alan Sparhawk e Mimi Parker prima del concerto. I coniugi, nucleo fondante della band, hanno raccontato ai nostri microfoni gli anni degli esordi in furgone per gli Stati Uniti, la nascita di questo nuovo album – un disco «oscuro, per tempi oscuri» (“It’s the sound of the world collapsing” secondo il Guardian), e hanno risposto ai rumor che vorrebbero la carriera del duo al capolinea.

Questa non è la prima volta per voi a Bologna, lo sappiamo, ma non è nemmeno la prima volta all’Antoniano giusto? È la seconda o la terza volta?

Avete sicuramente suonato al Covo Club nel 1999 – che è la venue che organizza il concerto di stasera – e ho letto online che in quel concerto misero le seggiole nello spazio del pubblico. È vero?

Vi piace avere il pubblico seduto mentre suonate?

Sbaglio o avete appena compiuto 26 anni di carriera?

Beh, insomma, tutti quanti nel mondo della critica musicale, quando è uscito il vostro nuovo album, hanno in qualche modo gridato al miracolo: “questo nuovo disco è stimolante per una band che esiste da un quarto di secolo”, perché per certi aspetti è diverso rispetto all’approccio e ai suoni che avete avuto nel passato. Ricordo però un vostro disco di remix che avete pubblicato nel 1998, è stato quello il vostro primo contatto con la musica elettronica?

È il vostro secondo album prodotto da BJ Burton, ma per quanto concerne la produzione ci sono parecchie differenze rispetto al precedente Ones and Sixes del 2015, sempre prodotto da BJ.

BJ ha prodotto anche altri album nel frattempo, penso a quello di Justin Vernon (Bon Iver, 22 A Million, nda), che in qualche modo condivide con Double Negative alcune tecniche di trattamento e di mix della voce.

Ho sempre inconsciamente associato il titolo del vostro album Double Negative al concetto di “negativo” in senso fotografico, quando realtà si tratta semplicemente del concetto di doppia negazione in senso logico, che crea quindi un’affermazione. Questo album ha un suono molto caotico e oscuro, ed è attraversato da voci molto luminose che si stagliano sul mix, in qualche modo ricorda il contrasto di un negativo…

È vero che il presidente Trump ha citato il titolo dell’album qualche giorno prima dell’uscita? Ho letto su Pitchfork che – riferendosi alla Russia, probabilmente – ha pronunciato esattamente le parole “Double Negative”…
Mimi –

Pensate che Trump possa venire rieletto nuovamente nel 2020?

Anche perché è un processo in atto in tutto il mondo, non sta succedendo solamente negli Stati Uniti.

Ieri era il 25esimo anniversario della morte di Kurt Cobain, so che avete un ricordo speciale legato alla radio e alla notizia del suo suicidio.

Vivete ancora in Minnesota, a Duluth?

Duluth è la città natale di Bob Dylan, giusto?

Double Negative sarà l’ultimo album della vostra carriera ? Perché ho letto alcune teorie bizzarre su internet riguardo al testo di “Dancing and Fire,” dove tu canti, “It’s not the end, it’s just the end of hope,” che sembra chiudere il cerchio col titolo del vostro album di debutto, I Could Live in Hope.

Si ringraziano Raffaele Lauretti e Arianna Baldi per il doppiaggio dell’intervista.