Eritrea. Dentro il festival contestato
Sorveglianza strettissima per il Festival d’Eritrea al Parco Nord. La comunità eritrea fedele al governo Afewerki festeggia i 40 dal primo festival a Bologna.

Bologna, 4 lug. – “E’ un festival aperto ai soli eritrei e gli italiani non possono entrare. E nemmeno i giornalisti”. All’ingresso su via Stalingrado dell’area del Parco Nord di Bologna la sorveglianza è strettissima: il cancello è aperto ma ci sono, oltre ad una camionetta della Celere, tre uomini eritrei con auricolari e ricetrasmittenti e due giovani italiani di un’agenzia di sicurezza. “No, non potete entrare” dicono ai giornalisti i ragazzi italiani in camicia bianca.
“Siamo qui a Bologna per commemorare il primo festival che facemmo qui nel 1974″ dice Derres Araia, portavoce della comunità eritrea che ha il compito di curare i rapporti con la stampa. E’ lui che, chiamato telefonicamente, raggiunge a piedi l’ingresso e accompagna, quasi per mano, i cronisti dentro l’area del festival, protetta da due ordini di recinzioni. “Sono con me” dice in tigrino, una delle lingue ufficiali eritree, agli uomini dell’EriBlood. Sta per sangue d’Eritrea: “Siamo eritrei e ci siamo conquistati l’indipendenza col sangue” spiega uno di loro. Sono giovani, vengono da tutti i paesi della diaspora eritrea, indossano una maglietta nera, sul petto hanno disegnato un pugno rosso e sulla schiena, oltre al nome EriBlood, il 52. Il numero non rappresenta una data: è il corrispettivo numerico delle iniziali di Eri Blood (E = 5; B = 2). Sono volontari (“Non ci paga il governo” dicono) e sono incaricati della sicurezza all’interno del festival.
Araia spiega le ragioni del Festival. “Nel 1974 Bologna ci accolse e da quel momento è molto importante per la lotta del popolo eritreo. Fino al 1991, anno dell’Indipendenza, abbiamo sempre fatto il festival” ricorda Araia. Al collo porta un pass: “Media”. Tutti hanno o un pass o un braccialetto: se si ha il pass si fa parte dell’organizzazione o degli ospiti invitati. Il braccialetto invece viene consegnato a chi, eritreo, paga il biglietto di ingresso, di una decina di euro. Araia parla dei manifestanti del Coordinamento Eritrea democratica che dal mattino protestano davanti ad uno degli ingressi, quello vicino alla Fiera. “Servi dei nostri nemici”, “disfattisti” dice Araia. “Il nostro problema è che l’Eritrea è ingessata economicamente” ripete il portavoce della comunità fedele al governo di Isaias Afewerki.
Nel grande piazzale, a pochi metri dall’Estragon, è stato montato il palco. Sul lato sinistro ci sono gli stand delle comunità eritree in Italia, Olanda, Norvegia, Stati Uniti, qualche stand commerciale, e lo spazio dell’organizzazione giovanile del partito unico di Afewerki, il Fronte Popolare per la democrazia e la giustizia, nato dopo la vittoria del 1991 dal Fronte popolare per l’indipendenza del popolo eritreo. Sul lato destro i ristoranti e il Museo Bologna, la mostra di foto, manifesti, volantini e gadget delle decine di edizioni del festival eritreo che si è tenuto a Bologna dal 1974 al 1991.
Nell’area della festa ci sono circa un migliaio di persone. Una decina i pullman con targa tedesca parcheggiati tra la prima e la seconda recinzione. Molte le auto, la maggior parte con targa italiana ma tante anche quelle tedesche e inglesi. L’afflusso è costante e continuo: gente che entra e gente che esce. Le donne, soprattutto quelle anziane, indossano gli abiti tradizionali. Sull’area sventolano le bandiere dell’Eritrea, alternate sui pennoni a quelle del Fronte di Liberazione del Popolo Eritreo. A completare la coreografia ci sono le vele azzurre, gialle, rosse e verdi (i colori della bandiera eritrea) con lo slogan “Victory to the masses”, scritto in molte lingue.