Ergastolo al killer serbo Norbert Feher alias Igor il Russo
Il gup ha deciso il massimo della pena per l’assassino del barista Davide Fabbri e del volontario Valerio Verri

Bologna, 26 Mar. – Igor ‘il Russo’ è stato condannato all’ergastolo e al risarcimento di 1 milione e 700 mila euro. Ieri pomeriggio il gup Alberto Ziroldi ha deciso il massimo della pena per il killer serbo, Norbert Feher, processato a Bologna in abbreviato per gli omicidi del barista Davide Fabbri e del volontario Valerio Verri e per altri reati. Feher, dopo una latitanza di otto mesi, è stato arrestato in Spagna a dicembre 2017 e da allora è in carcere a Saragozza.
In videocollegamento, il serbo era seduto in silenzio. Impassibile e sfrontato. Un atteggiamento costante di questi ultimi 24 mesi. Ad attendere la sentenza in aula c’erano Francesca ed Emanuele Verri, presenti dal primo giorno. Francesca Verri, assieme al fratello, tutta d’un pezzo – con lo sguardo di chi ha perso un padre, con l’unica colpa di essere un volontario nel posto sbagliato. Ad accompagnarli, il legale Fabio Anselmo, che facendo riferimento a Verri lo ha definito “un cittadino esposto a un rischio a cui non doveva essere esposto”.
C’era poi il sopravvissuto Marco Ravaglia, accompagnato dalla moglie. Dopo la sentenza, commosso dietro agli occhiali scuri, si è detto soddisfatto per l’ergastolo che condanna il ‘Mostro’.
Per la prima volta, invece, è entrata in aula Maria Sirica, la vedova Fabbri che però non ha retto fino alla fine: “Chi lo ha ammazzato non è stato Igor, ma è stato lo Stato, perché questa persona non doveva essere qui in Italia”, ha detto prima di andare via. Non ha però atteso la sentenza e per lei è intervenuto il suo legale, Giorgio Bacchelli.
Dunque, la sentenza di ieri non ferma la voglia di giustizia dei figli e dei famigliari delle vittime di Igor. Ma è solo una prima tappa. Tra cinque giorni saranno esattamente due anni da quando Norbert Feher, alias Igor Vaclavic, ha colpito mortalmente la sua prima vittima: Davide Fabbri, il barista del bar Gallo della Riccardina. Era il primo aprile 2017. Una rapina finita male, così è sempre stata raccontata, lui che entra all’interno del bar, impugna un fucile e ha una pistola – probabilmente rubata durante una rapina a una guardia giurata qualche giorno prima – il barista reagisce. Riesce a togliergli dalle mani il fucile, e a colpirlo. Ma Igor tira fuori la pistola e lo fredda. Lo uccide sotto gli occhi della moglie Maria Sirica. Punta la pistola anche al suo volto. La risparmia e fugge via. Si perdono le sue tracce. Fino all’8 aprile.
Una settimana dopo. Lui, latitante, è a bordo di un pick up bianco quando a Portomaggiore viene fermato da due guardie ecologiche. Anzi, una guardia ecologica, Marco Ravaglia e un volontario, Valerio Verri. I due stanno eseguendo dei controlli anti bracconaggio e si imbattono in quell’uomo, la cui foto era stata inviata in più chat WhatsApp. E il controllo finisce nel peggiore dei modi: uccide Valerio Verri, colpisce – credendolo morto – Marco Ravaglia. Poi prende uno zaino, un borsone dal rimorchio del pick up bianco e scompare nella bassa bolognese. Due omicidi in otto giorni. Scatta una caccia all’uomo senza precedenti. L’Arma dei carabinieri arruola gli uomini e i reparti migliori. Cani molecolari, squadre preparate per lavorare in condizioni estreme, arrivano i Cacciatori di Calabria, gli uomini del Gis. La caserma di Molinella diventa per diversi mesi il quartiere generale. Arriva il ministro dell’Interno Marco Minniti. Il cerchio sembra chiudersi, ma Igor riesce a fuggire. Ancora. Fino al 15 dicembre.
Otto mesi dopo si macchia di altri tre omicidi. Questa volta in Spagna, uccide un agricoltore e due guardie civili. Durante la fuga fa un incidente, viene arrestato. Finalmente l’uomo che era diventato negativamente una leggenda per la bassa ha un volto. Ha però ucciso ancora. Viene arrestato, è nel carcere di Zuera in Spagna. Da lì, ieri ha ascoltato la sentenza. Non ha proferito una parola. Mentre alle udienze passate lo ha fatto, eccome: in modo sfacciato. Quasi sfidando lo Stato. Ancora una volta. “Ho sparato a Ravaglia perché aveva una pistola in mano. Poi ho sparato a Verri senza guardare se era armato perché per me era un poliziotto pure lui e dovevo ‘sdraiare’ tutti e due”. Queste sono state le sue uniche parole a fine novembre prima della sentenza di ieri. Non ha mai proferito parola sui complici che lo hanno aiutato ad arrivare in Spagna. Ha invece raccontato di esserci arrivato da solo e per un lungo tratto in bicicletta. Una storiella che naturalmente non ha mai convinto gli inquirenti.
“Come ho già avuto occasione di dire, l’impegno che la magistratura e le forze dell’ordine hanno messo in campo in questa vicenda è la dimostrazione che lo Stato è presente e fa il massimo quando ci sono fatti di sangue che coinvolgono i cittadini. Un impegno di grandissimo livello, dunque, e il risultato fa venir meno le polemiche”, ha detto proprio il procuratore capo, Giuseppe Amato. E ancora: “Nessuna rete strutturata che ha favorito Norbert Feher, ma comportamenti estemporanei di qualcuno che può averlo aiutato”. Dunque la conferma che Feher è un personaggio con “nessuna organizzazione alle spalle”, ma con conoscenza del territorio e nessun legame fisso, caratteristiche che ne hanno agevolato la latitanza. Su questo è aperto un fascicolo specifico. “Abbiamo fatto accertamenti e siamo nella fase terminale”, ha detto Amato.
La difesa di Feher aveva richiesto il rito abbreviato e una perizia psichiatrica su ‘Igor il russo’, ma il Gup Alberto Ziroldi ha respinto la richiesta della difesa del serbo. Secondo il giudice non era necessaria, ai fini del processo, valutare la capacità di intendere e di volere di Igor. Ma la difesa non ci sta: “Farà appello e ci sarà una nuova richiesta per una perizia”, spiega il difensore Gianluca Belluomini.